Io, barbone in strada: cartello e sorrisi per qualche moneta

Cronista del «Centro» si spaccia per senzatetto in via Venezia Due ore a racimolare spicci, consigli e porte sbattute in faccia

PESCARA. Alba, capelli biondi lunghi alla guida di un’utilitaria grigia, guarda il cartello con scritto «Pescara aiutami», sorride ma non vorrebbe darmi neanche un centesimo. Poi, ci guardiamo negli occhi, giro quel pezzo di cartone e compare la scritta che le scioglie il cuore: «Un regalo per un sorriso». Ride Alba, ridono anche i suoi occhi, poi, rovista nella borsa, afferra il portafogli e mi mette in mano due euro. Sì, proprio due euro a uno sconosciuto. Quasi mi vergogno a prenderli. Poi li metto nel bicchiere di plastica, tanto li darò in beneficenza alla Caritas: «Grazie, grazie, grazie», le dico, «come ti chiami?». «Alba». «Buona giornata Alba». Poi, il semaforo diventa verde e lei riparte. Comincia così, con un gesto di solidarietà inaspettato, la mia giornata da mendicante al semaforo tra corso Vittorio Emanuele e via Venezia.

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Più di due ore a chiedere l’elemosina con un bicchiere in mano per vedere qual è la risposta dei pescaresi. Tra cuore e indifferenza, metto da parte più di 8 euro. Per la precisione 8,33 euro. Il concorrente se ne va. Appena arrivo, inizio a camminare tra le auto in fila e capisco che non sono da solo a chiedere soldi: c’è anche un altro, un cingalese con uno zaino nero sulle spalle, che mi guarda e se ne va in un istante. Dopo mezzora ripassa, mi riguarda e se ne va un’altra volta. L’incrocio resta mio: inizia la questua.

Pescara, cronista-barbone al semaforo tra cuore e indifferenza
Due ore da mendicante al semaforo tra via Venezia e corso Vittorio Emanuele, nel centro di Pescara, per capire la risposta della gente. E' il servizio del cronista del "Centro" Pietro Lambertini che si è finto barbone tra cuore e indifferenza(video di Giampiero Lattanzio)
«Perché non lavori?». Il signor Ennio, capelli brizzolati, mi dice che non può darmi più di 20 centesimi ma mi guarda dritto negli occhi. Quando lo ringrazio, mi fa: «Ma sei italiano?». «Sì». «E perché non lavori?». Gli dico che un lavoro non ce l’ho, invento che facevo il muratore ma che, adesso, con la crisi, gli appartamenti non si vendono e nessuno mi chiama. «Ma non è che non c’hai voglia di lavorare?», mi chiede lui. «Io voglio lavorare», rispondo, «ma il lavoro non c’è. Perché tuo figlio ce l’ha il lavoro?». «Eh, neanche mio figlio lavora. Hai ragione, è un periodaccio per tutti. Però, non devi fare così: devi cercarlo il lavoro e fare tutto quello che ti capita. Sei giovane e non puoi ridurti così». Lo ringrazio, gli stringo la mano e il suo interesse per me non mi sembra affatto scontato.

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Pescaresi generosi. Michela, coda di cavallo e occhiali da sole, guida una Polo blu scuro: abbassa il finestrino, mi regala il suo sorriso guardando il cartello e partecipa anche con gli spiccioli. Poi, riparte e continua a sorridere. Jonathan guida un’Audi A3 nera, mi chiama «frate’», mi dà qualche spicciolo preso vicino al freno a mano e ci salutiamo scambiandoci le mani. Dopo un quarto d’ora ripassa ancora in via Venezia e mi saluta come se fossimo amici da sempre. Licia è una pensionata: mi sorride e mi dà 20 centesimi. Fanny, con il figlio sul sedile di dietro, mi dà qualcosa e si scusa perché è poco. Patrizia mi dice che ha appena dato l’elemosina ad «altre tre persone», io resto fermo ad aspettare, lei guarda nel fondo di un borsellino e spuntano 20 centesimi: «Sono per te». Anche Loredana deposita monete nel bicchiere. Una ragazza dell’Est, alla guida di una 500 bianca, sorride d’incoraggiamento e mi dà un euro: «Ci vuole la forza», mi dice e parte veloce per non perdere il verde.

«Tartassati». Uno, mentre guarda le cartelle di pagamento della Soget, mi racconta che «il Comune si prende troppe tasse» e per questo non può darmi niente: «Hai visto quante tasse paghiamo noi? Mo’ ci sta la Tari», e mostra un bollettino. Spalanco le braccia e vado avanti. «E chi mi aiuta a me?», mi dice un altro ancora. Io allora faccio per dargli i soldi che ho nel bicchiere. Lui ride e ci salutiamo. Un altro ancora, con la maglia della tuta del Pescara, si accende l’ultima sigaretta, appallottola il pacchetto di Camel e, in dialetto, mi fa: «Non ho più neanche le sigarette». «Ciao, forza Pescara», lo saluto. «Ma noi siamo di Lanciano», mi dicono due ragazzi che ridono di fronte al cartello. Scoppio a ridere pure io. Di fronte alla scritta «Pescara aiutami», un automobilista alla guida di un suv, un Tuareg grigio, mi dà 50 centesimi e mi dice: «Ma noi siamo di Avezzano, non Pescara».

Finestrini chiusi. Ma c’è anche chi si barrica nella macchina con i finestrini chiusi e lo sguardo dritto in avanti e perso. Le tecniche per sfuggire a chi chiede un aiuto sono sempre le stesse: gli automobilisti si fermano a qualche metro dalla macchina che li precede e, quando arrivano i questuanti, loro ingranano la prima e vanno subito avanti oppure tengono gli occhi incollati sul cellulare.

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Rischio multa da 500 euro. Passa anche il blindato della polizia, diretto in questura dopo il servizio d’ordine alla manifestazione degli studenti in piazza Sacro cuore: saluto con la mano e vado avanti. Non c’è tanto da scherzare: dal 3 novembre scorso, un’ordinanza del sindaco Pd Marco Alessandrini dice che è «vietato porre in essere forme di accattonaggio molesto, inteso come richiesta insistente e petulante di denaro» e rischio una multa da 25 a 500 euro. Chissà se anch’io sono «insistente e petulante», ma per il sindaco, sono un «intralcio» alla viabilità e «altero» il decoro urbano di Pescara. L’ordinanza, però, fa riflettere e spiega la diffidenza di tanti: «Le persone che praticano l’accattonaggio molesto a volte risultano collegate a organizzazioni criminose» che le «sfruttano» e «trattengono» l’elemosina. «Il fenomeno dell’accattonaggio molesto è sensibilmente aumentato in città rispetto al passato», dice l’ordinanza, «ed è ormai divenuto motivo di allarme e preoccupazione per la collettività, sia per l’elevato numero delle persone coinvolte sia per l’insistenza e la petulanza delle richieste che spesso sconfinano in vere e proprie azioni di molestie».

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Fantasma. Al semaforo del centro della città, è un viavai di gente che cammina a piedi: cerco lo sguardo delle persone ma dopo un’occhiata veloce tutti abbassano la testa e, imbarazzati, si girano da un’altra parte. Un occhio all’orologio, alle scarpe, alle vetrine dei negozi: l’importante è non guardarmi. Tanti fanno finta di non vedermi come se gli accattoni, a Pescara, fossero quasi parte della strada. Un po’ come i marciapiedi e i lampioni. Per tanti sono talmente indifferente che non mi guardano nemmeno in faccia: chiedo soldi a un deejay che conosco mentre è fermo nella sua Smart nera ma non mi guarda, alza la mano e, infastidito, farfuglia qualche parola. Se mi avesse guardato, mi avrebbe riconosciuto. Un giornalista sportivo, chiuso nel suv, mi degna di un sopracciglio appena alzato: anche lui non capisce chi sono. Chi mi riconosce, invece, sono le due figlie di un imprenditore coinvolto in un’inchiesta giudiziaria e condannato: ci guardiamo mentre allungo il bicchiere nella loro auto, passano pochi secondi e sorridiamo. Poi, mi dicono: «Dopo quello che è successo, siamo quasi come te che adesso chiedi l’elemosina». A dire la verità, secondo me, tanti se la passano anche un po’ peggio di noi, basta guardarli.

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