L’abbraccio tra la vedova e la mamma di chi uccise

4 Maggio 2014

Toccante incontro a Roseto tra la moglie del carabiniere Santarelli e la madre del giovane omicida: «Se Matteo si riscatta, mio marito non sarà morto invano»

ROSETO. Due giovani madri, sedute l’una accanto all’altra per testimoniare un dolore che le accomuna pur nella sua drammatica diversità. Da una parte Claudia Francardi, vedova del carabiniere Antonio Santarelli, venuto a mancare nel 2012 dopo l’aggressione subita il 25 aprile 2011, mentre era in servizio in provincia di Grosseto. Al suo fianco Irene Sisi, madre del giovane Matteo Gorelli, condannato per l’omicidio Santarelli. Con questa immagine si è aperto il convegno dal “Il percorso della legalità”, che si è tenuto ieri al Palazzo del Mare di Roseto in memoria dell’appuntato scelto Santarelli, medaglia d’oro al valor civile, organizzato dalla locale sezione dell’associazione nazionale carabinieri e dall’associazione culturale “Cerchi concentrici promotor” con il patrocinio del Comune di Roseto.

Di fronte una platea particolarmente attenta, formata per lo più da ragazzi delle scuole superiori, con il prof William Di Marco a scandire i tempi degli interventi. Ma già prima che le due donne iniziassero a parlare, era chiaro a tutti che sarebbe stato il perdono l’argomento centrale del convegno. Non a caso il direttore de il Centro Mauro Tedeschini, chiamato a coordinare i lavori, ha esordito definendo l’incontro di ieri «un esempio per persone che rischiano di sconvolgere la propria esistenza macerandosi nell’odio». Ma è possibile non solo perdonare, ma addirittura diventare amica, per portare avanti un progetto comune, della madre del ragazzo che ha ucciso il proprio marito?

Sì, perché le due donne hanno dato vita a un’associazione battezzata “Amicainoabele”, concentrando in un’unica parola il concetto di amore e amicizia, vittima e carnefice, per non dimenticare che la crudeltà ha sempre fatto parte della natura umana.

«Antonio amava la bontà e praticava la giustizia – ha raccontato la vedova di Santarelli – e faceva questo anche nella forma più alta che è la virtù cristiana. Il giorno dell’aggressione avrebbe voluto dire a Matteo: “Devi cambiare vita”, ma non ne ha avuto il tempo». Il volto disteso della signora Claudia, parzialmente coperto dai lunghi capelli biondi, trasmette ai presenti una serenità d’animo, raggiunta, però, soltanto dopo un lungo e doloroso percorso interiore.

«All’inizio pensavo che il Signore ci chiedesse di testimoniare l’amore nei Suoi confronti chiamandoci a vivere insieme il dolore – dice ancora la signora Claudia – poi è arrivata la morte di Antonio e non più capito: ero disorientata. Per un periodo ho smesso anche di pregare e ho anche buttato via il rosario, ma poi ho visto una luce in fondo al tunnel buio: flebile, ma c’era». Parole sottolineate dal silenzio commosso della platea, tra cui erano presenti anche i fratelli del carabiniere ucciso.

I progetti di vita dei coniugi Santarelli interrotti dalla mano di un giovane omicida, hanno via via lasciato il posto a quello che la signora Claudia ha definito “miracolo interiore”, che si è concretizzato il giorno della condanna in primo grado (il 7 dicembre 2012) nei confronti di Matteo Gorelli: ergastolo. «Quando ho ascoltato la sentenza – ricorda tra le lacrime la vedova Santarelli – ho avvertito un malessere fisico, perché non potevo immaginare che a un giovane non venisse offerta un’altra possibilità di recupero. Poi l’ho guardato negli occhi mentre lo portavano via e sono rimasta sconvolta quando l’ho visto sorridere. Pensavo fosse impazzito, ma quando in seguito mi ha spiegato il motivo (cioè che voleva trasmettermi l’accettazione della condanna per il male che mi aveva fatto) ho capito che era proprio quello il miracolo più grande: io mi preoccuipavo per lui e lui faceva altrettanto per me».

Così è iniziato il cammino di riconciliazione che coinvolge tre persone: le due donne e il giovane condannato.

«Sono la mamma di Matteo – così si è presentata la signora Irene iniziando il suo intervento – e mi sento particolarmente emozionata nel venire nella terra di Antonio. Se esistesse il reato di omicidio morale io sarei certamente colpevole, in quanto sono io che ho armato la mano di mio figlio quel giorno perché non mi sono mai resa conto delle sue grida silenziose che io non sono stata capace di ascoltare in tempo. Avrei dovuto essere in grado di metterlo nelle condizioni di prendersi cura della sua anima, dandogli quelle risposte alle domande che non mi ha mai fatto, in modo da insegnargli a essere in grado da solo di fermarsi un attimo prima di sprofondare nel baratro». «Quale futuro oggi per Matteo?», ha chiesto il direttore Tedeschini alla signora Sisi. «Io spero che continui il recupero nella comunità Exodus – è stata la risposta della madre del giovane – proseguendo un percorso comune assieme alla sua famiglia. Lui dice che vorrebbe diventare un educatore e credo che in futuro possa aiutare molti giovani a migliorare e diventare, perché no?, un esempio per loro». Intanto le due donne continuano a portare in giro per l’Italia il messaggio di perdono attraverso l’ associazione Amicainoabele, testimoniando attraverso la loro terribile storia che un gesto di carità è sempre possibile.

Federico Centola

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