L’estate di Yelfry: tanta ginnastica per tornare in piedi 

Il cuoco 23enne ferito con la pistola è ancora ricoverato «Ho fatto piccoli progressi, ma non cammino ancora»

PESCARA. Gli mancano le serate con gli amici a farsi una birretta dopo il lavoro, gli allenamenti in palestra, le canzoni sudamericane urlate a squarciagola durante i viaggi in macchina, gli abbracci col figlioletto Brian, di tre anni. «Mi manca la libertà di fare tutto», dice con la voce strozzata dall’emozione, Yelfry Rosado Guzman, il cuoco 23enne di Chieti ricoverato in ospedale per le ferite riportate alla testa, spalle, schiena e torace. Il ragazzo era al lavoro in un ristopub del centro quando il 10 aprile scorso, esattamente tre mesi fa, è stato raggiunto dai colpi di pistola sparati dal cliente Federico Pecorale, 29 anni, poi finito in carcere. Era la domenica delle Palme. Una giornata di festa che in un attimo si è trasformata in un incubo per il giovane di origini dominicane che ancora lotta per recuperare l’uso delle gambe. Una battaglia quotidiana per tornare a camminare: sei ore quotidiane di riabilitazione in una clinica di Sulmona, dove è stato trasferito due mesi fa dall'ospedale pescarese.
Le sue giornate sono scandite dalla ginnastica riabilitativa, dai pasti, dalle visite di mamma Melani, dei fratelli Melissa e Francisco, della fidanzatina Alice, degli amici. La sua vita è scandita da un prima e un dopo. E questa sarà una estate diversa da quella dello scorso anno quando ancora poteva camminare, lavorare, amare. «Quell'attimo di follia ha cambiato la mia vita e quella della mia famiglia», si sfoga Yelfry, «sono vivo per miracolo e ora è solo questione di tempo. Ho fatto piccoli progressi, sento un po’ di sensibilità sulle gambe, ma no, non cammino ancora. Faccio ginnastica ogni giorno per tante ore al giorno perché voglio guarire, ma non so quando uscirò di qui. E questo mi fa paura e un po’ mi angoscia. I medici sono cauti nelle loro diagnosi, come è giusto che sia». Il suo bambino, Brian, lo videochiama e gli dà conforto: «Papà lo so che sei malato, ma tu devi restare lì per guarire, mi dice».
Ha poca voglia di parlare l'ex campione regionale di boxe che il 23 gennaio scorso ha compiuto 23 anni. E mamma Melani prosegue per lui: «Ci pensa sempre alla sua vita di prima. Il suo desiderio più grande è tornare ad allenarsi in palestra. Anche per questo volentieri si sottopone a tante ore di esercizi in ospedale. È contento perché per lui è come stare nella sua palestra, nel quartiere Filippone. Gli manca il lavoro, la birretta che si faceva con gli amici a notte fonda malgrado la stanchezza, gli manca divertirsi, cantare, ballare, andare al mare. Era sempre allegro, mio figlio. In macchina cantava, a casa cantava. Ora, rinchiuso in ospedale da mesi e senza sapere quando può uscire, è da impazzire. Noi cerchiamo di non farlo sentire solo e lui si fa forte e reagisce». Prima del ferimento lavorava sodo, dalle 11 alle 15 e poi dalle 18 a tarda sera, e qualche volta proseguiva la notte come addetto alla sicurezza in un locale, Yelfry. Metteva da parte i soldi per «andare a Santo Domingo a Natale», rivela la madre, «a trovare papà Tino e nonna Consuelo che hanno tanta voglia di riabbracciarlo. Nel frattempo l’altra nonna, è morta. Ora il viaggio è rimandato chissà a quando. Mio figlio è vivo per “milagro”, ma chi gli ha fatto del male deve pagare, deve rimanere in carcere per sempre».