L'ex pm svela le stragi della Uno bianca

Anni di terrore e delitti dei fratelli Savi raccontati dal giudice Spinosa
TERAMO. «Forse è solo una speranza ma credo che il periodo delle stragi che ha sconvolto il nostro paese fino a metà degli anni Novanta non sia destinato a ripetersi». E' un messaggio di speranza e, nonostante tutto, di fiducia nella giustizia quello che il presidente del Tribunale di Teramo Giovanni Spinosa ha voluto lanciare presentando in città il suo libro "L'Italia della Uno Bianca - Una storia politica e di mafia ancora tutta da raccontare". Il volume - edito da Chiarelettere e con prefazione del giornalista Marco Travaglio - è stato presentato mercoledì in città con un evento organizzato dal presidente del Circolo teramano Serafino Impaloni che ha visto la presenza al fianco dell'autore anche del sindaco Maurizio Brucchi, del presidente della Provincia Valter Catarra e, come moderatore, del vice caporedattore del Centro Lorenzo Colantonio.
La storia raccontata nel libro è quella dell'organizzazione criminale, ricordata da tutti come "Banda della Uno Bianca" che ha sconvolto l'Emilia Romagna dal 1987 fino all'autunno del 1994 provocando la morte di 23 persone ed il ferimento di altre 102.
Ottantadue delitti: «Una strage a rate, lunga sette anni», così ha voluto definirla l'ha definita Spinosa, non per la sua modalità di esecuzione - che ha sostituito alla secca esplosione di una bomba una lunga catena di orrore e violenza - ma piuttosto per il senso di sgomento e di paura che quei fatti hanno lasciato nell'opinione pubblica proprio come la strage di piazza Fontana o per quella di Capaci. In questo caso ad essere stati condannati con l'ergastolo come principali artefici di quei delitti sono stati soprattutto i tre fratelli Savi (Roberto, Fabio e Alberto): ma la storia della Uno Bianca - come scrive Spinosa nell'ultima pagina del suo libro - è "una tela raffinatissima", lontana dall'essere completamente dipanata soprattutto rispetto agli intrecci con la mafia e con settori dei servizi segreti.
Giovanni Spinosa ha tentato nel suo libro di ricostruire questa tela intricata andando dentro ed oltre i semplici atti processuali, atti che il giudice ha potuto conoscere e toccare con mano avendo lavorato a quei casi come sostituto procuratore in Romagna. «Il delitto chiave nella storia della Uno Bianca è stato in realtà quello ai danni della conoscenza e quindi della democrazia, quello cioè di chi ha organizzato un lungo percorso di depistaggio delle indagini», ha spiegato Spinosa di fronte alla folla che ha riempito il Circolo teramano durante la presentazione, «scrivere questo libro è stato un sacrificio ma ho ritenuto di farlo perché credo che sia essenziale conoscere i fatti e la storia per restituire verità al passato e quindi pace tra i vivi e tra i morti. Non credo che la verità possa corrispondere certo alle sentenze giudiziarie che hanno un altro scopo. D'altronde non sono i magistrati a dover scrivere la storia, questa appartiene solo alla comunità».
La storia raccontata nel libro è quella dell'organizzazione criminale, ricordata da tutti come "Banda della Uno Bianca" che ha sconvolto l'Emilia Romagna dal 1987 fino all'autunno del 1994 provocando la morte di 23 persone ed il ferimento di altre 102.
Ottantadue delitti: «Una strage a rate, lunga sette anni», così ha voluto definirla l'ha definita Spinosa, non per la sua modalità di esecuzione - che ha sostituito alla secca esplosione di una bomba una lunga catena di orrore e violenza - ma piuttosto per il senso di sgomento e di paura che quei fatti hanno lasciato nell'opinione pubblica proprio come la strage di piazza Fontana o per quella di Capaci. In questo caso ad essere stati condannati con l'ergastolo come principali artefici di quei delitti sono stati soprattutto i tre fratelli Savi (Roberto, Fabio e Alberto): ma la storia della Uno Bianca - come scrive Spinosa nell'ultima pagina del suo libro - è "una tela raffinatissima", lontana dall'essere completamente dipanata soprattutto rispetto agli intrecci con la mafia e con settori dei servizi segreti.
Giovanni Spinosa ha tentato nel suo libro di ricostruire questa tela intricata andando dentro ed oltre i semplici atti processuali, atti che il giudice ha potuto conoscere e toccare con mano avendo lavorato a quei casi come sostituto procuratore in Romagna. «Il delitto chiave nella storia della Uno Bianca è stato in realtà quello ai danni della conoscenza e quindi della democrazia, quello cioè di chi ha organizzato un lungo percorso di depistaggio delle indagini», ha spiegato Spinosa di fronte alla folla che ha riempito il Circolo teramano durante la presentazione, «scrivere questo libro è stato un sacrificio ma ho ritenuto di farlo perché credo che sia essenziale conoscere i fatti e la storia per restituire verità al passato e quindi pace tra i vivi e tra i morti. Non credo che la verità possa corrispondere certo alle sentenze giudiziarie che hanno un altro scopo. D'altronde non sono i magistrati a dover scrivere la storia, questa appartiene solo alla comunità».
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