LA BONIFICA UNA SFIDA PER L’EUROPA

La storia della manifattura abruzzese è fatta di cose brillanti ma anche di fatti controvertibili, come i ricercatori più avveduti sostengono da tempo.

Considerata interessante per la presenza del suo fiume, la zona di Bussi storicamente è stata un sito strategico per le industrie chimiche ed energetiche. Dagli inizi del Novecento molte furono le imprese che si succedettero nel territorio avviando le loro produzioni. La prima fu la società Franco-Svizzera di elettricità (1901) che ottenne la concessione di installare impianti per la produzione di cloro e per la produzione di energia elettrica. Successivamente la Società Italiana di Elettrochimica (Sie) realizzò, sempre in questo territorio, gli stabilimenti per la produzione di soda caustica, cloro, idrogeno, acido cloridrico e cloruro di calcio. Nel 1907 il polo industriale divenne il primo produttore di alluminio in Italia con il metodo elettrochimico.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, l’attività industriale bussese si concentrò in ambito bellico: vennero avviate le produzioni di ferro-silicio per le corazze delle navi, di clorati per la preparazione di esplosivi, di fosgene e cloruri per la realizzazione di gas asfissianti e irritanti. Peraltro, nel 1940 si insediò nella vicina Pratola Peligna, su iniziativa della società Dinamite Nobel e con realizzazione non casuale ad opera della stessa Montecatini, di un’importante fabbrica per la produzione di polvere da sparo. La fattura di munizioni varie, per supportare lo sforzo di guerra del paese, comportò addirittura un’occupazione fino a circa tre mila addetti.

Proprio queste attività, allineate su uno stesso asse che includeva anche la stazione di Pescara e il vicino aeroporto militare, furono all’origine degli obiettivi strategici degli alleati che portarono ai bombardamenti della provincia e dello stesso capoluogo, nel 1943, con la tragedia delle tante migliaia di morti oltre ai gravissimi danni materiali.

Con il dopoguerra l’attività della Dinamite Nobel fu dismessa e il sito fu affidato al demanio militare, mentre le industrie di Bussi furono riconvertite alla produzione di cloro, piombo e altre sostanze necessarie per le produzioni nel settore chimico. Arrivò così la Montedison (successivamente la Solvay) e con essa i fatti gravissimi trapelati in questi giorni. Non vi è ormai alcun dubbio che alla loro origine vi è stato nel corso del tempo una pluralità di condotte irresponsabili e poco trasparenti, che hanno messo in luce la presenza di una discarica abusiva che allo stato attuale delle informazioni risulta essere una delle più importanti aree inquinate d’Europa (circa 25 ettari di territorio contaminato), soprattutto sotto il profilo della complessità delle possibili soluzioni. A partire dalle conseguenze non trascurabili sull’impatto ambientale e sulla salute di circa la metà della popolazione regionale.

Nel sito sono state interrate più di 250 mila tonnellate di rifiuti tossici e scarti industriali creando un danno ambientale stimato di circa 8,5 miliardi di euro. Bisogna inoltre tener conto del costo della bonifica che, secondo alcune fonti, ammonterebbe a circa 600 milioni. Non si tratta solo dell’inquinamento delle acque superficiali, per intenderci quelle del fiume, ma anche delle falde sotterranee che finiscono nelle fonti utilizzate dall’acquedotto gestito dall’Aca. L’acqua insalubre è stata distribuita a circa 700 mila cittadini, compresi ospedali e scuole, per un lasso di tempo di diversi decenni. Gli sversamenti nel fiume e gli interramenti delle sostanze tossiche avvenivano già dal ’63, a quanto si legge in un passo della relazione dell’Istituto Superiore della Sanità.

Dagli atti si evince che lo smaltimento prevedesse oltre all’interramento anche una successiva fase di copertura delle sostanze con materiale di riporto e con conseguente preoccupazione dei diretti interessati - evidentemente non solo la dirigenza dello stabilimento di Bussi - per un probabile inquinamento del sottosuolo dovuto all’infiltrazione della componente liquida. Il 1972, secondo il rapporto ISS, è l’ultimo anno di cui ci sono riferimenti all’interramento delle sostanze tossiche, principalmente i clorometani pesanti, nella discarica abusiva. Bisognerà attendere il 2007 per rendere pubblico il disastro grazie agli accertamenti del Corpo forestale dello Stato. La serie di azioni poste in essere nel sito industriale e nella discarica abusiva hanno dunque pregiudicato tutti gli elementi fondamentali che presiedono e garantiscono la sicurezza delle acque e la salubrità del contesto ambientale, determinando così un pericolo reale e concreto per la salute dei cittadini.

La dimensione di questo enorme disastro sia in termini ambientali che di salute della popolazione può trovare un solo livello credibile di attenzione, che è quello volto a coniugare la responsabilità del governo nazionale e la capacità di intervento dell’Unione Europea. Tale grave accadimento è inevitabile che metta alla prova in modo concreto la sfida della Nuova Europa, che deve essere sempre più attenta al benessere dei cittadini e delle popolazioni piuttosto che alle logiche astratte di burocrati agnostici e di governanti insensibili o inadeguati. Anche l’attenzione di tutti gli abruzzesi, delle loro classe dirigenti e delle istituzioni locali, almeno in questo caso, per risultare credibile dovrebbe convergere con decisione proprio verso la responsabilità nazionale ed europea. In fondo, la storia brevemente richiamata dimostra che le scelte di insediamento che sono all’origine del disastro l’Abruzzo le ha solo subite, nell’ambito di opzioni strategiche maturate in tempo di pace e di guerra, e che le vicende generali nazionali ed europee hanno opportunisticamente imposte.