La crisi a Pescara, chiudono i negozi storici in corso Vittorio

Il commercio in agonia. Chiudono i battenti anche Frette e Ohmasa: affitti troppo alti e assenza di parcheggi tra le cause della morte della strada
PESCARA. Un letto scoperto, con due cuscini bianchi adagiati alla buona, è tutto ciò che resta della mole di lenzuola, cuscini, coperte e plaids delle migliori marche che un tempo luccicavano nelle quattro vetrine di Frette, il negozio di biancheria di lusso di corso Vittorio Emanuele. La storica attività, a cui per decenni si sono rivolte le signorine pescaresi in età da marito per riempire armadi e bauli in vista del giorno più bello della loro vita, ha chiuso i battenti di fronte alla crisi che sta trasformando una delle strade dello shopping cittadino in un cimitero di negozi sfitti e saracinesche abbassate. Nell’ultimo mese hanno chiuso i battenti altri due esercizi nati negli anni del boom commerciale di Pescara: oltre al marchio Frette, leader a livello mondiale, lascia anche Franca Cauti, titolare del negozio di fotografia Ohmasa. Segno dei tempi che cambiano e di una categoria che non riesce a sopravvivere di fronte all’aggressione dei centri commerciali e agli affitti che continuano ad alzarsi, incuranti della congiuntura economica negativa e delle tasche sempre più vuote delle famiglie abruzzesi.
Corso Vittorio Emanuele, un tempo una delle arterie più vive e operose del capoluogo adriatico, è diventato un lungo anello di congiunzione tra il centro e la porzione nord da un lato e la piazza del Comune, con la Provincia, gli uffici pubblici e la zona di Porta Nuova dall’altro. Una via segnata dai cartelli “Affittasi”, “Vendesi” o “Cedesi attività” che uno dopo l’altro sta perdendo il suo motore economico e la sua vocazione al commercio. Prima di Frette e Ohmasa, nei mesi scorsi, ha firmato la resa anche Domenico Costantini, titolare dell’omonima libreria dove si riunivano gli antifascisti di prima generazione, costretto dai prezzi del mercato immobiliare troppo alti a ridimensionarsi e spostarsi all’angolo con via Trieste. Prima era stata la volta di Pasquale Di Pino, proprietario di Minerva, l’altro grande tempio della cultura di corso Vittorio Emanuele che è stato costretto a chiudere. Ma l’elenco è lungo e corposo. A ottobre scorso Corazzini si era spostato in via Nicola Fabrizi: dopo sette mesi il locale su due livelli di 300 metri quadrati, al civico 256, risulta ancora sfitto. Stesso destino per le quattro vetrine dell’ex Tezenis, al civico 121.
Accanto alle attività storiche, figura anche la perdita della filiale della Banca d’Italia, in procinto di lasciare Pescara entro il 2015. «Qualche anno fa avevamo fondato un’associazione di commercianti», racconta Rocco Di Credico, titolare della Caffetteria Pescara ed ex responsabile della federazione, «avevamo proposto al Comune alcune idee per salvare il commercio, prima su tutti la costruzione di nuovi parcheggi, ma non ci hanno ascoltato ed è peggiorato tutto. Alla crisi conclamata si associano i tanti centri commerciali che, con i parcheggi gratuiti e l’aria condizionata sia in estate che in inverno, hanno svuotato il centro. La prossima settimana è in programma una riunione in cui tutti i soci restituiranno le quote associative».
Chi sopravvive allo spopolamento di corso Vittorio Emanuele sono i bar e le pizzerie, che si sono inventati formule salva-crisi per attirare i clienti: caffè e pizzette a prezzi calmierati e menù a 6 o a 7 euro. Assieme ai locali “mordi e fuggi” una delle poche attività storiche rimaste in vita è l’ottica di Francesco Angelone, presente in città dal 1949. «Adesso non mi faccia essere scaramantico», si lascia andare il proprietario, «in passato avevo tantissimi clienti di fuori, arrivavano persino da Chieti. Ma adesso sono spariti. Quando mi capita di incontrarli per caso, mi ripetono sempre la stessa storia: “Angelone, a Pescara non si può venire perché non ci sono i parcheggi”. È questo il nostro guaio, abbinato all’altra grande mazzata dei centri commerciali».
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