La rabbia dei pendolari «Così ci costringono a lasciare la nostra terra»

La rassegnazione dei passeggeri: «Tra guasti e lavori, la tratta è un percorso a ostacoli» E c’è chi ha pensato anche di trasferirsi nella Capitale: «Ma l’affitto è troppo caro»

PESCARA. «Il primo dicembre vado in pensione e smetto di fare il pendolare dopo 32 anni di treno, sempre da Cerchio a Roma passando per Avezzano». Felice Colangelo, dipendente al ministero delle Finanze a Roma, ieri è partito alle 7,25 ed è arrivato a Roma alle dieci. Due ore e mezzo contro i 40 minuti che impiegherebbe con la macchina da casello a casello e che nel corso degli anni, tra guasti e maltempo, sono lievitate al punto da farlo rientrare a casa anche a mezzanotte. Eppure è con rammarico che dice: «Una volta questi treni erano pieni, si pagava anche il supplemento rapido. Oggi c’è rimasto solo il regionale, hanno dimenticato il servizio sociale del treno». A Tagliacozzo alle 8,30 scende invece Stefania De Angelis, partita da Chieti Scalo due ore prima per raggiungere l’ospedale marsicano dove lavora come fisioterapista: «Uso questo treno tutti i giorni dal lunedì al sabato, due ore ad andare e due ore, anche due ore e mezza a tornare. La settimana scorsa è stata da incubo, con la linea Avezzano-Tivoli chiusa per lavori ci hanno dato i pullman sostitutivi ma partivano da Tagliacozzo alle 14.45, sono dovuta uscire dal lavoro un’ora e mezza prima per arrivare comunque ad Avezzano alle 16,17 e poi da lì a Chieti quasi due ore dopo».

Stessi disagi lamentati da un gruppo di insegnanti che dall’hinterland di Avezzano si ritrova sul treno per andare nelle scuole tra Tivoli, Bagni di Tivoli e Guidonia. «Abbiamo provato a viaggiare con la macchina, ma costa troppo. Il problema è che a dicembre verrà soppresso qualche treno, rischiamo di dover ricorrere ancora alla macchina. I treni peggiori? Quelli delle 6,08 e delle 6,29 da Avezzano: freddi, sporchi e scomodi».

Cristian Ciammaichella, 21 anni di Bussi sul Tirino, è salito a Scafa ed è diretto a Roma, all’università: «Il treno ci mette tanto, ma per prendere l’autobus dovrei arrivare a Torre de’ Passeri e non mi conviene. Sono quattro ore ogni volta, ma non ho scelta». È partito alle 6,15 da Pescara, diretto a Carsoli, Daniele Perdonò, da un paio di mesi operaio in un’officina meccanica: «Il peggio è stato la scorsa settimana, con la linea interrotta e l’autobus sostitutivo. Sono partito da Carsoli alle 17,50 e sono arrivato a casa alle 22,30. Normalmente impiego due ore e mezza, dalle 6 e un quarto arrivo alle 8,45. È assurdo ma è così, non ho alternative». Il top è un ferroviere che a patto dell’anonimato racconta il suo caso: «La mia sede è a Roma, ma pur potendo viaggiare gratis sul treno da Sulmona, prendo l’autobus a pagamento, in un paio d’ore sto in ufficio. Prendo il treno solo un paio di volte a settimana quando ho impegni lavorativi fuori dall’ufficio». Poi ci sono gli studenti. Come Viola Mastrone, da quattro anni pendolare da Pescina a Roma dove frequenta la facoltà di Archeologia alla Sapienza: «Uso questo treno almeno tre volte alla settimana, quando ho lezione alle 9 prendo da Avezzano quello delle sette e arrivo alle 8,45. È l’unico preciso. Il biglietto costa 6,90 euro ma alla fine della giornata sono più le ore di viaggio che di lezione».

Chiara Vidoni, 34 anni, psicologa, sale ad Avezzano, direzione Bagni di Tivoli. «Ma devo fare un cambio a Tivoli alle 9,20, aspettare venti minuti e arrivare a Bagni alle 10,10. Ieri sera con l’autobus ci ho impiegato un’ora e un quarto. Ma il disagio enorme sono i biglietti giornalieri: prima valevano due mesi, adesso se non li usi secondo il giorno e l’orario stabiliti perdi biglietto e soldi. Per chi non ha un lavoro stabile è solo un’assurda complicazione». Adrian Diacono e la mamma Victoria da Tagliacozzo partono tutti i giorni per Roma. Il figlio, 30 anni, assistente informatico, lavora a Roma da otto anni e stanco di fare su e giù con i tempi biblici del treno ha provato a trasferirsi nella Capitale: «L’affitto costava troppo, dopo due anni ho rinunciato».

Anche P.S. (oltre le iniziali non dice), 50 anni di Tagliacozzo, durante i suoi 30 anni da pendolare per il ministero della Difesa ha pensato di trasferirsi a Roma pur di uscire dall’incubo del treno, «ma», dice, «dovendo accudire i miei genitori sono costretto a fare ancora il pendolare». Una vita che conosce bene tanto da aver avviato, con altri pendolari, una quarantina quelli che partono ogni giorno da Tagliacozzo e Avezzano, un comitato. «Abbiamo fatto una raccolta di firme quando hanno spostato il capolinea da Roma Termini a Roma Tiburtina, com’è ancora oggi. Con la differenza che dopo tante promesse adesso pare che ci accontentano ma solo perché hanno deciso che a Tiburtina la riservano all’Alta velocità». Un’indignazione, la sua, che racconta quella di una generazione che ha dovuto lasciare la propria terra e la propria gente per collegamenti inadeguati a colmare distanze irrisorie, a un’ora di macchina da casa che con il treno raddoppia: «Se potenziassero il trasporto su ferro ci sarebbe un ritorno economico per tutto l’Abruzzo», dice, «sopratutto per la Marsica, dove rientrerebbe tanta gente in un periodo in cui i paesi si svuotano e le attività commerciali chiudono. Ma la politica promette e poi se ne scorda». (s.d.l.)

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