La Sorda: «Il mio concerto in consolle»

1 Maggio 2011

Dal Niagara alla Fabbrica, le notti di un dj: amo la musica, ma ho iniziato per cuccare

PESCARA. «Come è cambiata la discoteca negli anni? Prima si sudava». Si è appena alzato, Marco La Sorda, e con quattro ore di sonno incastra in una frase gli ultimi 20 anni della discoteca: il prima «dove in disco si andava per ballare e divertirsi» e il dopo di «un luogo ibrido, dove si mangia, si balla, si chiacchiera, ci si intrattiene». Racimola un paio di occhiali da sole, barcolla per casa puntando una macchinetta del caffè e tira fuori i biscotti: «Era una serata particolare, ho fatto le sette di mattina. Un caffé? Un Ringo?».  La Sorda ha 37 anni e fa il dj. Il mestiere che ha iniziato a fare a 16 anni «perché come tutti», come dice, «volevo fare colpo sulle ragazze. La verità è che mi piaceva la musica, mi affascinava la figura del disc jokey. Certo è che, oggi, con un po' di pancia, non avrei trovato questa bellissima ragazza che mi sopporta. Amo', Daiana, ho perso le chiavi di casa, me le trovi?». Inizia così la giornata di La Sorda, andando alla ricerca degli occhiali per ripararsi dalla luce, accendendo il telefonino e indossando un t-shirt grigia e una giacca di pelle nera per uscire a prendere un po' d'aria.

CASA DISCO E CHIESA - La Sorda fa questo lavoro da quando è piccolo, da quando gli proposero di fare il secondo dj nella discoteca Niagara di Silvi, la prima di una carrellata di locali pescaresi in cui ha suonato passando dal vinile al cd, osservando dalla consolle i clienti ballare «con i pugni chiusi portati al mento e roteati attorno alla testa ai balli di adesso con movimenti più liberi». I primi dischi li ha messi alla radio: «Ronzavo attorno a Radio Ketchup, andavo a scuola e poi mettevo i dischi. Ero alle prime esperienze, mi facevano fare i turni di Natale, insomma quelli in cui c'erano pochi ascoltatori. Ma mi piaceva anche ballare, mi mettevo i fuseaux, le scarpe alte, andavo in discoteca a Riccione, al Cocoricò, al Titilla perché ballare mi divertiva». Il primo lavoro al Niagara - «la discoteca con le pareti fluide» - e il secondo alla Silvanella sempre di Silvi. Intanto, La Sorda si appassiona alla musica house e inizia a prenderci gusto a fare l'imbonitore di folle. «Afrika Bambaataa, Snap, Black Machine: mettevo questo in quegli anni. La Silvanella? C'erano i bicchieri di vetro. E' un particolare sciocco, ma è anche così che sono cambiate le discoteche. Prima erano locali molto più semplici, fatti dalle persone. Erano luoghi di ritrovo, come la chiesa, come la piazza, come lo stadio. Oggi, attorno alle discoteche girano trenta figure, ci sono gli ospiti, si fanno serate a tema. Sono luoghi non deputati più solo al ballo».

SUA MAESTA' LA SORDA - Un giorno si sparge la voce che sta per aprire «un maxi-locale, dove avevano investito e che si trovava a Pescara, non a Silvi che aveva ospitato le storiche discoteche».  Marco La Sorda passeggia per strada e incontra Andrea Potenza che dal motorino gli fa: «Vuoi venire a suonare alla Fabbrica?». Conosce Stefano Cardelli, oggi assessore, ma all'epoca animatore delle notti pescaresi con la società Local Bus in cui c'era anche Potenza, e si stabilisce nella locale in viale Pindaro di cui diventa il dj resident dal 1996 fino agli anni Duemila.  «Buonasera in consolle c'è sua maestà Mr dj La Sorda»: è così che La Sorda veniva introdotto mentre lui attaccava: «Buonasera, benvenuti in Fabbrica» spronando a scendere in pista «con un trascinante hip-hop che faceva iniziare a muovere la gente».

IL CONCERTINO - La Sorda ha fatto il militare e non vedeva l'ora di andare a mettere i dischi, si è iscritto a Farmacia ma «fare il dj è quello che desideravo». E' diventato professionista, è passato da un musicista a cui i gestori dei locali imponevano i dischi al dj che arrivava in discoteca con la valigetta. Ascolta Martin Solveig, Bob Sinclar, si è formato con Ricardo Villalobos, Claudio Coccoluto e ai tempi del Jovanotti di «Yo, gimme five».  Non ha dimestichezza con una serata fiasco, ma ha la memoria fissa alla pista piena della Fabbrica. «Perché sono stato fortunato», dice, «mi sono trovato a suonare nel momento migliore nel locale che andava di più: tornavo a casa e mi sembrava di aver fatto un concertino».  Se all'inizio erano i gestori dei locali a decidere la musica, poi è stato La Sorda a portare i suoi gusti in pista e a indirizzare i locali. «Solitamente, all'inizio della serata metto qualcosa che conoscono tutti, che rassicuri, che sia attuale e ben fatto. Poi, dalla consolle, punto cinque, sei persone che mi sembrano un po' particolari: quello con un cappello, la ragazza con un vestitino strano. E inizio a mettere la musica che piace a me. E' come se quelle persone diventassero i miei campioni: se iniziano a ballare, vuol dire che la musica funziona. La soddisfazione più grande è quando si riesce a coniugare la necessità con il gusto personale, quando qualcuno che non conosceva quel disco inizia a domandarsi: "Ma chi è?", "Come si chiama?"».

SU LE MANI IN 500 - La Sorda si definisce un dj commerciale, «perché non sono mai stato di nicchia, ma un dj legato alla musica che vende, che ha un commercio». Accanto alla Fabbrica, ha suonato al Parco dei Principi, al Cutty Sark, al Babaloo di Porto Recanati e, poi con il boom degli stabilimenti, al Tabacchi Jazz, al Nettuno per riprendere con le più recenti discoteche: dal Megà al Glass dove lavora oggi come direttore artistico.  Per La Sorda, il dj è «un veicolo, un trascinatore». «Quello che mi fa impazzire ancora delle discoteche è vedere come una persona si modifichi nel gruppo. Se il dj o il vocalist dice su le mani, inizia ad alzarle uno e lo seguono in cinquecento. La disco galvanizza: mi fa impazzire».

DISCO E DONNE - La Sorda ha sfidato le battute degli amici ma non ha ceduto a un nome d'arte. «Perché volevo essere io, volevo che mi conoscessero con il mio nome. Certo, mi ricordo quando Vincenzo Olivieri mi prendeva in giro perché con questo cognome mettevo musica». A 37 anni, non ha intenzione di smettere, ha deciso di continuare a mettere dischi e, nostalgico, spera che le discoteche tornino agli albori, ad essere luoghi di incontro, piste da ballo dove «sudare». E «oggi», conclude mentre si prepara ad andare in scena, «sono le donne i clienti perfetti delle discoteche: vanno nei locali disinteressatamente, si divertono, si muovono meglio, ballano meglio e ascoltano la musica. Sono esseri perfetti per la discoteca».

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