«Le mie indagini sulla sanità senza condizionamenti, il buco di oggi è assurdo»: Trifuoggi si racconta stasera su Rete8

Nicola Trifuoggi circondato dai microfoni e dalle telecamere durante l’inchiesta sulla Sanitopoli abruzzese: gli arresti risalgono al 14 luglio 2008
L’ex procuratore in un'intervista alla trasmissione “31 minuti”: dalle inchieste alla politica. L’impegno con l’Anpi: «Bisogna resistere contro i fascisti del tempo presente»
PESCARA. Nell’Abruzzo dei reati, Nicola Trifuoggi è la memoria storica della lotta alla criminalità e al malaffare dilagante anche nella pubblica amministrazione. Un passato da procuratore a Chieti, L’Aquila e Pescara: nel 2008, la madre di tutte le inchieste, quella sulla Sanitopoli abruzzese. Diciassette anni dopo, il buco della sanità è profondo più di 100 milioni di euro: «È assurdo», dice l’ex magistrato. Trifuoggi uno e tanti: nel suo curriculum c’è anche un salto dall’altra parte della barricata come vice sindaco dell’Aquila al fianco di Massimo Cialente per dimostrare che la politica può essere ancora un’arte nobile; adesso, un presente da presidente dell’Anpi di Pescara per chiamare tutti a «resistere, resistere, resistere» in un tempo di divisioni e anche di dimenticanze. Si chiama “Il procuratore” un’altra puntata di “31 minuti” in onda questa sera su Rete8 (regia di Danilo Cinquino e Antonio D’Ottavio).
Lei ha 83 anni: da bambino, cosa voleva fare da grande?
«Il magistrato».
Davvero?
«Sì. Questo è merito o colpa di mia madre: fin da quando ero bambino rispondeva al mio posto e, alla domanda cosa volessi fare da grande, diceva il magistrato. Quindi, non ho mai pensato di fare altro».
Ed è stato facile diventare un magistrato?
«No, perché il concorso in magistratura era ed è ancora estremamente selettivo e ha richiesto anni di studio, però, alla fine, la mia determinazione l’ha avuta vinta».
Ma con il senno di poi è stato più difficile diventare magistrato oppure fare il magistrato?
«Sono due difficoltà diverse: la prima è una difficoltà di carattere tecnico perché bisogna studiare, studiare e studiare e sperare che quando ci sono i compiti scritti, visto che non si può conoscere tutto di tutto, le tracce riguardino argomenti di cui si ha buona conoscenza. E ci vuole anche un pizzico di fortuna. Fare il magistrato, secondo me, è difficile perché richiede uno scrupolo particolare: la dote principale di un magistrato deve essere l’equilibrio. È scontato che deve essere onesto e imparziale, questo è il minimo naturalmente, ma ci vuole equilibrio e con l’equilibrio si risolvono tante situazioni».
Facendo un esame di coscienza, lei ce l’ha avuto questo equilibrio?
«Io penso di sì, però non tocca a me dirlo».
Al congresso dell’Anpi, lei ha detto: «Serve una rivoluzione morale, bisogna continuare a resistere, resistere, resistere». Ha detto tre volte resistere, ma a cosa bisogna resistere?
«L’Anpi svolge un ruolo essenziale in un momento storico nel quale a livello planetario stanno risorgendo idee politiche di destra estrema, ma molto estrema e molto simili alle idee che, nei primi decenni del secolo scorso, hanno portato al fascismo in Italia e al nazismo in Europa. L’Anpi serve ad aprire gli occhi a queste persone, che oggi aderiscono a tali idee senza sapere esattamente a che cosa aderiscono perché quegli anni non li hanno vissuti, sperando che naturalmente non vi siano italiani che vogliano un duce supremo che decida tutto della loro vita».
Ma in base a quello che vede e che sente, in Abruzzo oggi ci sono i fascisti?
«Se noi intendiamo per fascisti quelli con le camicie nere e i manganelli, certamente no e secondo me non ci saranno mai, ma c’è più di uno che accarezza l’idea di una sorta di regime strisciante senza rendersi conto di quello che dice e senza sapere di che cosa si è trattato. E credo che questo valga per tutt’Italia».
Qual è l’antidoto a qualcosa del genere? Lo studio?
«Sì, uno studio approfondito di quello che è stato e di quello che non deve risuccedere».
Tra tutte le inchieste che ha fatto, qual è la più importante di tutte?
«Quella sulla sanità, anche se, quando stavo a Genova, le Brigate rosse avevano compilato una scheda su di me. Di certo, quella sulla sanità è stata l’indagine che più ha avuto rilevanza, non solo per il sentire dell’opinione pubblica ma per i fatti. Io sono del parere che i magistrati debbano compiere il loro dovere indipendentemente da retropensieri e dalle conseguenze politiche che potrebbe avere le indagini seguendo i tempi del processo: io non credo alla giustizia a orologeria. Quando la magistratura viene a conoscenza di fatti che possono costituire reati, bisogna procedere, punto e basta, senza autorizzazione da parte di nessuno, salvo i casi previsti dalla legge naturalmente, e senza preoccuparsi di quello che poi potrebbe succedere a livello di opportunità. Opportunità politica e obbligatorietà dell’azione penale sono assolutamente incompatibili: mentre l’opportunità politica non è prescritta da nessuna parte, l’obbligatorietà dell’azione penale è scritta nella Costituzione».
Se potesse tornare indietro nella sua carriera, qualcosa di diverso lo farebbe?
«Sono soddisfatto degli sviluppi. Non parlo degli esiti: gli esiti devono dirlo gli altri se sono stati buoni o meno, ma degli sviluppi della mia carriera sì».
Ma quando era procuratore di Pescara sentiva la pressione della politica?
«Una volta, con un politico, non di vertice nazionale ma abbastanza importante a livello regionale che non conoscevo personalmente, ci siamo salutati e costui mi ha detto: “Mi dicono che lei sia incorruttibile”. E io: le hanno riferito bene».
E quel politico l’ha presa bene o l’ha presa male?
«Non lo so: ha sorriso, non poteva fare altrimenti».
E quando la procura finiva sotto attacco per le indagini svolte, il supporto di qualcuno si sentiva oppure no?
«Io sentivo il supporto della gente, questo sì: non è che fosse determinante e non abbiamo fatto le indagini a furor di popolo, però quando si toccavano determinati personaggi o situazioni c’era la soddisfazione più o meno generale, ovviamente salvo quella degli interessati».
La rifarebbe l’esperienza politica al Comune dell’Aquila?
«Ero a passeggio a Pescara una domenica mattina quando mi telefonò il sindaco dell’Aquila, Cialente, che io avevo conosciuto quando ero procuratore e lui deputato. Mi disse che si trovava in grossa difficoltà perché il suo vice sindaco era stato raggiunto da un avviso di garanzia, per cui lui lo aveva indotto alle divisioni e mi chiese se ero disposto a fare da vice sindaco: una sorta di garante. Non me la sono sentita di dirgli di no, precisandogli che avrei svolto il mio compito da tecnico e non da politico. In quel momento, la città era ancora sotto gli effetti del terremoto devastante del 6 aprile 2009 e l’amministrazione doveva tirare assolutamente; c’erano i soldi per la ricostruzione e non ci si poteva bloccare per dettagli burocratici. Quindi, gli dissi che ero disponibile. E cosa ho fatto da vice sindaco? Più che quello che ho fatto, ciò che conta è quello che, da tecnico, ho impedito».
E cosa poteva accadere?
«C’era una serie di delibere illegittime che io ho sottolineato: l’entusiasmo del politico perbene è l’ottenimento del risultato che ha in mente, ma non sempre quel risultato si può raggiungere e non sempre si può raggiungere con i mezzi che lui ritiene siano leciti».
Una domanda sospesa tra giustizia e politica: nello stesso Abruzzo del caso giudiziario Sanitopoli – gli arresti eccellenti risalgono al 14 luglio 2008 – e del successivo commissariamento della sanità con tagli e sacrifici per tutti, oggi si parla ancora di un disavanzo record: oltre cento milioni. Da osservatore privilegiato quale è lei, cosa ne pensa?
«Io penso che sia assurdo, veramente assurdo perché, all’epoca, venne fuori che c’era un sistema che privilegiava la sanità privata rispetto a quella pubblica. E lo privilegiava non gratuitamente ma a pagamento, come è stato dimostrato dalle condanne che poi sono state inflitte alla fine del processo. E poi, immediatamente, c’è stato il commissariamento, un commissariamento che avrebbe dovuto esserci anche prima perché, dalle carte di quel processo, era emerso che la Regione Abruzzo inviava dei bilanci fasulli al ministero della Salute. Senonché, al ministero, c’era un tizio particolarmente tignoso, un dirigente particolarmente attento, che si era accorto di quanto fossero falsi i bilanci. Stiamo parlando del 2008: sono passati 17 anni ed è grave che ancora non si sia riusciti a venire fuori da tutto questo».
E la politica quanto è responsabile?
«È responsabile, indipendentemente dal colore. Bisognerebbe tagliare i rami secchi e valorizzare la sanità pubblica. Ci vorrebbe qualcuno esperto di economia e non solo di sanità».
Lei ha l’età della saggezza: che consiglio darebbe al presidente Marsilio?
«Rivolgersi a tecnici seri per risolvere questo problema, magari con meno proclami e più azioni sotterranee ma efficaci».
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