Le terme di Caramanico dopo 5 anni di abbandono: muri a pezzi e tubi corrosi

Lo stabilimento è chiuso dal 2020 a causa di un fallimento da 25 milioni di euro. Vetri e lampadari spaccati, crolla l’intonaco nelle sale. E le aste sempre deserte
CARAMANICO TERME. Nel parcheggio delle terme di Caramanico ci sono ancora i pulmini di servizio e le macchine intestate alla Società delle terme, c’è anche un’Alfa Romeo Giulia bianca. Accanto, c’è un furgone bianco con il parabrezza spaccato. Si chiama “Dentro le terme” un’altra puntata di “31 minuti”, il settimanale di approfondimento di Rete8 in collaborazione con il Centro che va in onda questa sera alle ore 22.30 (riprese e montaggio di Giuliano Vernaschi, regia di Danilo Cinquino e Antonio D’Ottavio). Una crisi senza fine vista dall’interno: al centro della puntata un documento video inedito ed esclusivo che mostra come sono ridotte le terme simbolo d’Abruzzo dopo cinque anni di abbandono, ormai quasi sei.
Questo luogo che sembra abbandonato, un tempo era affollato di persone. Adesso, invece, le terme cadono a pezzi: l’erba e le foglie ricoprono i viali, i vetri spaccati e i lampadari staccati dal solaio solo per il gusto di fare danni, gli intonaci sono crollati, le tubature sono corrose dall’acqua sulfurea. Quell’acqua ricca di idrogeno solforato, la seconda d’Europa per qualità, così si dice qui, alle pendici della Maiella, è diventata la condanna degli impianti fermi dal 2020.
Un pubblico di 30mila persone all’anno affollava le terme di Caramanico e si divideva tra il reparto inalazioni, il reparto nebulizzazioni, i fanghi, le insufflazioni, massaggi ed estetica. Ora, le immagini di quella folla che, fino a quasi sei anni fa, dava vita a un’economia della salute e del benessere, dagli alberghi alle case vacanza fino ai negozi, sono soltanto un ricordo sbiadito.
Le terme di Caramanico sono un vanto del paese fin dal 1576 come dice l'insegna all’ingresso del piccolo centro di 2000 abitanti. Risale al 1901 l'apertura del primo stabilimento termale e intorno a questo centro è nata un’economia del turismo, a Caramanico e nel circondario. È andata avanti così per oltre un secolo, poi le terme sono finite in fallimento per una fattura non pagata di appena 25mila euro per latte e formaggi. Il decreto ingiuntivo che ha portato al crollo porta la firma di un colosso della ristorazione, la Cooperlat, cioè l’azienda proprietaria del marchio Trevalli, la stessa della panna Hoplà. Quella fattura era la punta di un iceberg di debiti.
Le terme di Caramanico erano di proprietà della Società delle terme, un gruppo che fa capo alla famiglia Masci di Chieti. La Società delle terme ha lasciato dietro di sé un pozzo profondo 25 milioni di debiti: uno scoperto eccezionale, accertato con la dichiarazione di fallimento nel 2021, con le banche, gli enti di previdenza, le amministrazioni pubbliche e i lavoratori che aspettano ancora gli stipendi mai pagati.
La crisi delle terme è iniziata dieci anni prima della chiusura ma quei segnali sono stati ignorati. Nel luglio del 2018, il buco era già di 22.734.000 euro; a distanza di un anno e mezzo, a fine 2020, l’importo è salito fino a 24.220.000 euro.
Il 2018, invece, è stato un anno decisivo per il dissesto delle terme: in un verbale proprio del 2018, prima dell’avvio della fase di liquidazione precedente al fallimento, si parla dello scoperto con le banche «più che disponibili» a supportare la Società delle terme, ormai avviata però su un binario morto visto che i debiti totale ammontavano già ad almeno 20 milioni: «Gli amministratori della Società», dice quel documento, «hanno avviato fattivi colloqui sia con la Regione sia con il ceto bancario creditore al fine di illustrare il progetto di liquidazione e le aspettative di recupero. Sia la Regione che il ceto bancario si sono dimostrati più che disponibili a sostenere la Società nel processo di ricerca di un soggetto terzo con comprovate competenze industriali che possa sostenere la continuità aziendale nell’interesse della tutela del proprio credito (quanto alle banche) e nell’interesse della collettività (quanto alla Regione)». Nel 2019, poi, durante un vertice a Roma, nella sede del ministero dello Sviluppo economico con l’allora vice capo di gabinetto, Giorgio Sorial del M5S, il crollo-confessione del patron Masci: «Negli ultimi 10 anni, la Società ha subito continue perdite economiche, seguite dal consolidarsi di un indebitamento finanziario verso determinati istituti di credito e il fisco, con una conseguente forte contrazione della domanda dei servizi termali».
Anche il Comune di Caramanico è una vittima del fallimento: l’amministrazione comunale, senza gli oltre 2 milioni che la Società delle terme non ha mai versato, è stata costretta a dichiarare il predissesto finanziario che equivale a più tasse per tutti. Il sindaco Franco Parone allarga le braccia: «Oltre due milioni, per un paese, non sono pochi».
Questo posto è in vendita ma, nell’arco di sette aste giudiziarie, nessuno si è fatto avanti per acquistare il complesso delle terme e l’albergo Maiella, tanto che, adesso, il valore di questo primo lotto è sprofondato a tre milioni e 700 mila euro. Il secondo lotto in vendita a 5 milioni riguarda il centro benessere 4 stelle La Reserve, il sogno del lusso ai piedi della montagna diventato però un incubo a fronte dei costi di gestione insostenibili. L’ottava asta scadrà il 3 febbraio e il 4 saranno aperte le buste, se ci saranno offerte. Ma non è l’unico procedimento in corso: il 27 febbraio scadrà il bando per l’assegnazione delle sorgenti di Caramanico, un altro bando a ostacoli.
C’è una parte dell’albergo Maiella, realizzata al di sopra dello stabilimento termale, che è stata ristrutturata nel 2002 con i soldi pubblici e cioè un’iniezione di capitali chiamata Docup: sono le risorse messe in campo dall’Europa per sostenere le aree economicamente svantaggiate. A ricordare quel contributo di circa un milione e 200mila euro, il 70% a fondo perduto e il resto a carico del privato, c’è ancora una targa un po’ scolorita: con quei soldi stato costruito un piano in più per le camere, che adesso sono 107, ed è stato ristrutturato il tetto.
I muri delle terme sono ricoperti di muffa e l’intonaco, a causa dell’umidità e dello sbalzo delle temperature, si sbriciola giorno dopo giorno: quello che vedete è il risultato di quasi sei anni di abbandono. Nessuno sa con precisione quanti soldi ci vorranno per rimettere in sesto questo centro di eccellenza d’Abruzzo: secondo la stima del comune di Caramanico servirà una cifra compresa tra un milione e mezzo di euro e 3 milioni. E allora la domanda è questa: ma chi pagherà il conto dell'abbandono? La risposta è semplice: lo pagheranno tutti i cittadini d’Abruzzo.
Eppure le terme potevano restare aperte: sarebbe bastato ascoltare quello che diceva l'amministratore giudiziale nel 2017 e ancora nel 2018. Guglielmo Lancasteri, un avvocato abituato a gestire le crisi aziendali di questo tipo, aveva proposto di tenere aperte le terme, da una parte, per incassare e limitare il passivo e, dall'altra, per evitare di deteriorare gli impianti a rischio corrosione. Ma quella che adesso sembra l’unica proposta di buon senso, all’epoca non è stata raccolta e anche la politica si è tirata fuori, senza prendere una decisione.
Il risultato di una gestione così è quello che mostrano le immagini: le terme di Caramanico sono in abbandono. E finora non c’è un colpevole per questa situazione. Ma la procura di Pescara ha indagato sull’ipotesi di bancarotta fraudolenta: cinque sono gli ex amministratori che si ritrovano sotto accusa per quel buco milionario lasciato nel paese delle terme.
La domanda che aleggia nell’aria pulita di Caramanico è: ma la politica poteva fare qualcosa per evitare questa crisi? Il verbale di una riunione al ministero dello Sviluppo economico a Roma, il 3 aprile 2019, quindi due anni prima del fallimento, parla di 10 anni di conti sballati tra «continue perdite economiche» e «consolidarsi di un indebitamento finanziario verso determinati istituti di credito e il fisco». E allora la risposta è: lo sapevano tutti, da Caramanico a Roma. Secondo il consigliere regionale Pd Antonio Blasioli, «forse, l’amministrazione Marsilio ha un pochino di antipatia per questo territorio».
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