L’intervista a Don Max: «Rancitelli? Un fantasma nella città, non spegnete i riflettori»

Il sacerdote lascia Rancitelli dopo 9 anni e torna nella chiesa dello Spirito Santo, dove fu seminarista: «Attenzione a creare ghetti, poi diventano fortini della criminalità»
PESCARA. Ha chiamato pubblicamente per nome gli spacciatori, è andato a protestare in consiglio comunale al fianco dei cittadini perbene, ha guidato le fiaccolate per la legalità e “costruito” ponti tra le periferie e le istituzioni, facendo della parrocchia, «un megafono del territorio». Dopo 18 anni, però, don Massimiliano De Luca, pescarese di 57 anni, lascia quelle periferie (9 anni a Fontanelle e 9 a Rancitelli), trasferito dall’arcivescovo Tommaso Valentinetti dai Santi Angeli Custodi di via Lago di Posta, alla chiesa dello Spirito Santo, a fianco alla sede della Curia.
Don Max, si aspettava questo spostamento?
«No. Sapevo che dopo nove anni siamo in scadenza, dobbiamo spostarci, ma onestamente pensavo che sarebbe arrivata una proroga».
Andrà nella chiesa dello Spirito Santo, in centro. Un ritorno?
«Sì è vero. In quella chiesa sono stato seminarista dal 1989 al 1993, lì ho preso l’ammissione agli ordini sacri e poi lì sono diventato diacono. Mi ci portò monsignor Iannucci».
E poi?
«Poi sono stato tre giorni, sì tre giorni, alla parrocchia di Santa Caterina, sei anni al Sacro Cuore e poi fui mandato a Nocciano dal 1999 al 2007. E poi a Fontanelle, a San Pietro Martire».
E lì è diventato “il prete delle periferie”, sempre in prima linea nella battaglia per la legalità. Com’è successo?
«Mi sono sempre dovuto riscrivere. Quando sono andato in paese la realtà di paese non la conoscevo, non conoscevo le sue dinamiche e mi sono dovuto inventare un po’ tutto. La stessa cosa è successa a Fontanelle».
Come fu l’impatto?
«Intanto ho dovuto imparare che esistono tre Fontanelle: quella storica, quella moderna delle case su via Tirino e poi quella delle case popolari di via Caduti per Servizio. Capito questo, sono riuscito a intercettare tutti e a creare un legame tra le tre Fontanelle. Giravo molto e le case popolari sono sempre state al centro della mia attenzione. Tutto quello che facevo era mirato a coinvolgere gli abitanti delle case popolari. Che poi parliamo di 1.200 persone».
Poi, quando fu trasferito a Rancitelli nel 2016, i parrocchiani raccolsero oltre 600 firme per farla restare. Cosa avete condiviso?
«Sono stati anni duri. Per la prima volta ho avuto a che fare con la povertà e la delinquenza. Il fenomeno delle case popolari non lo conoscevo, non ci avevo mai avuto a che fare».
Gli anni delle fiaccolate e delle denunce pubbliche contro spacciatori e occupazioni abusive, si parlò della “Primavera di Fontanelle, con lei c’erano cittadini coraggiosi come Nello Raspa, scomparso da poco.
«Con Nello Raspa a Fontanelle e poi con Francesca Di Credico a Rancitelli ho visto nascere e crescere le rispettive associazioni, fatte di persone coraggiose che vogliono continuare a combattere. Ho sempre dato loro la massima disponibilità, anche logistica, dal computer alla stampante, per aiutarli a svolgere il loro servizio. Le porte della parrocchia sono sempre state aperte. A Rancitelli qualche mese fa abbiamo organizzato un incontro anche con il procuratore Bellelli».
In questi anni ha subito anche minacce.
«Sì nel 2012. Durante la processione del Venerdì Santo che facevano per le vie del quartiere mi ritrovai circondato dai vigili urbani, non capii. Mi spiegarono poi che c’erano state delle minacce nei miei confronti. I responsabili furono arrestati una decina di giorni dopo e finì un po’ tutto. Ma quando andavi a fare visita nelle case al ferro di Cavallo o al Treno, beh, sì, andavo sempre con un po’ di timore, non sapevi mai cosa trovavi».
E cosa trovava?
«Di tutto, anche gente che mi aspettava e che non vedeva l’ora di poter parlare».
Cosa le hanno insegnato le periferie?
«Da sacerdote e da cristiano oggi dico che stando in periferia sono entrato nelle case dei poveri. E la povertà la riconosci subito. Dagli stipiti delle cucine uno diverso dall’altro, o dai Gratta e vinci sul tavolo invece di una pagnotta. Perché la prima questione della povertà non è il portafoglio, ma la testa. E questo l’ho imparato proprio nelle periferie. Il primo vero problema è questo: pensare che in via Lago di Capestrano non c’è neanche uno studente universitario, ti fa capire il livello. La cultura, la scuola, non sono visti come ascensori sociali se uno spacciatore può guadagnare più di un ingegnere».
Questi ultimi nove anni li ha vissuti ancora in prima linea, a Rancitelli. Che differenza c’è con Fontanelle?
«Sono due realtà profondamente diverse. Rancitelli è nata dal niente, Fontanelle ha una storia. La delinquenza di Fontanelle, fatta di cani sciolti, non è paragonabile a Rancitelli dove invece c’è la malavita organizzata, uno stanziamento e un radicamento della delinquenza molto più capillare. Ma il problema è sempre annesso alla povertà».
Ci spieghi.
«A Rancitelli è stata fatta la scelta maldestra di mettere insieme 900 appartamenti di case popolari, un numero pazzesco. Così crei il ghetto che poi trasformano in fortezze».
Tipo il Ferro di Cavallo. È bastato averlo abbattuto?
«Sono sempre stato favorevole all’abbattimento del Ferro di cavallo, almeno abbiamo abbattuto un fortino. Ma è inutile illudersi che così si sarebbe eliminato il problema. Gli spacciatori si sono riorganizzati nelle loro ville, nelle loro case. Non dimentichiamo che il 40 per cento degli alloggi, al Ferro di cavallo, erano occupati abusivamente e l’occupazione era sempre pilotata. E molto di queste case erano i negozi degli spacciatori».
C’è anche gente perbene, chi va in chiesa?
«Certo. I residenti storici, ma teniamo presente che c’è stato un abbandono abitativo enorme. La popolazione della parrocchia è scesa da diecimila a 3.900 abitanti. Le case popolari pullulano di residenti, ma le abitazioni normali, tantissime sono vuote, i vecchi proprietari sono morti e nessuno, dei figli o nipoti, è andato ad abitare nelle loro case».
E la parrocchia cosa offre a chi resta?
«In questi anni ho cercato di serrare i ranghi, di rafforzare la comunità sana, facendo in modo che la parrocchia fosse sempre presente, che fosse il faro per tutto il territorio, il portavoce, il megafono. Se a Rancitelli si sono accesi i riflettori, tanto da portare qui perfino le televisioni nazionali, la parrocchia ha avuto il suo merito. Ma se ora si spengono è un disastro».
Lei ora va via.
«Io quello che potevo fare l’ho fatto, per questo i parrocchiani sono avvelenati, temono che si possano spegnere i riflettori».
Per chi la sostituirà quali sono le priorità?
«Continuare a combattere le occupazioni abusive - anche se più passa il tempo e più diminuiscono - e lo spaccio di droga. Basta guardate quello che succede tra via Tiburtina e via Lago di Capestrano, un via vai continuo di spacciatori e prostituzione, degli zombi che camminano per Rancitelli a tutte le ore del giorno e della notte e vivono, anzi sopravvivono, nei palazzi Clerico».
Anche questa una sua battaglia, l’abbattimento dei palazzi Clerico in via Tavo.
«Sì, e spero che venga risolto quanto prima».
Don Max, dopo 9 anni a Rancitelli di cosa va più orgoglioso?
«Siamo riusciti a far aprire via Verrino che, per decenni chiusa, non permetteva l’accesso alla parrocchia. Poi il Ferro di cavallo, ci ho messo del mio per l’abbattimento. E poi l’aver cercato di far capire ai pescaresi, agli abruzzesi, la realtà di Rancitelli. A Pescara tutti la conoscevano di nome, ma nessuno sapeva cosa ci sta dentro, molti non sanno ancora oggi dove sta. In Comune mi sono più volte battuto per avere la segnaletica che indichi dove sta la chiesa, che se non sai dov’è sta nascosta, non la vedi. Perché alla fine è questo il problema di Rancitelli: è un fantasma all’interno della città e io ho cercato, anche attraverso i mass media, di farla conoscere».
Ora andrà in centro, da dove comincia?
«Come sempre dall’ascolto. Il centro che ho lasciato nel 1999, quando dopo lo Spirito Santo ho lasciato il Sacro Cuore, non esiste più, e devo capire questa nuova realtà, capire come è cambiata, come si è trasformata e quali sono gli strumenti migliori per annunciare il Vangelo e cercare di vivere non dentro, ma con la mia parrocchia. Voglio capire in che realtà sociale è immersa».
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