Lui lascia due pistole in casa, lei lo denuncia

La donna si è rivolta alla polizia dopo che il compagno era finito in carcere per scontare un residuo di pena: «Tutti i miei guai sono per lui»
PESCARA. Finisce sotto processo una coppia residente nel Pescarese, per possesso di armi. Il pm Gennaro Varone approfondì quanto venne a sapere la squadra mobile di Pescara, dopo la decisione della donna di raccontare tutto e pensando così di tirarsi fuori da una situazione alquanto scomoda, visto che le armi finite sotto sequestro vennero rinvenute nell’abitazione della coppia.
E ieri l’ispettore Guerrieri ha deposto davanti al collegio per ricostruire quella vicenda che non era poi così semplice e lineare e che potrebbe celare anche altre sorprese. Sta di fatto che la donna, qualche giorno dopo che il compagno era tornato in carcere per scontare un residuo di pena, decise di parlare con la polizia e di raccontare che lei non aveva nulla a che fare con quelle pistole che il compagno aveva in casa.
Così il 17 giugno 2024 partì la perquisizione che permise di ritrovare in casa una pistola “Mauser” calibro 7,65 con matricola abrasa, e dunque clandestina, e una “Browing” 7,65 risultata rubata a Ortona (poi restituita al legittimo proprietario). La polizia trovò anche diverse munizioni e quindi oltre al possesso di arma clandestina si aggiunse anche il reato di ricettazione. Ma le sorprese arrivarono quando la polizia mise le mani sul cellulare della donna e soprattutto su quello dell’uomo, acquisito dal carcere di Pescara dove l’imputato aveva dovuto lasciarlo prima del suo ingresso.
Nell’analizzare i contenuti, gli investigatori della Mobile trovarono foto, video e file interessanti. Una foto, ad esempio, dove si vedeva un braccio tatuato che impugnava una pistola, la stessa posta sotto sequestro. E ieri l’imputato, che sedeva accanto al suo difensore, Bravin, ha confermato che quel braccio era il suo. Ma i poliziotti rinvennero anche altre immagini che ritraevano mitra e pistole presumibilmente pronte per un eventuale compravendita che al momento non è stata ancora accertata.
Ma il prezioso lavoro della Mobile, aiutata dalle deposizioni della donna, ha poi permesso di risalire all’identità di un albanese, chiamato Martin, che è risultato conoscere molto bene l’imputato: venne fermato il 12 luglio del 2024 in un bar di Montesilvano. Dal suo cellulare risultarono 219 chiamate dell’imputato all’albanese. Ieri, in aula, il pm Giuliana Rana ha fatto ascoltare al collegio anche tre telefonate che la donna (difesa dall’avvocato Jacopo De Marco) fece con una sua amica, con un uomo e con una suora che lavora nel carcere che le chiedeva perché non si facesse né vedere né sentire dal suo compagno.
«Non voglio proprio vederlo», dice l’imputata, «perché mi ha fatto troppo soffrire e tutti i guai che sto passando sono a causa sua». Nella prossima udienza, il 29 maggio, saranno esaminati proprio l’imputata e i familiari del suo ex compagno.
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