Riconosciuto l’uomo senza identità ricoverato da due mesi nel reparto di Psichiatria dell’ospedale

Michel, che non vuole sapere chi è

Per la polizia è un francese di 61 anni. Ma lui nega: «Non sono io»

PESCARA. E' seduto su una poltrona nera con la schiena dritta, il collo allungato. Si gira verso la porta. La persona appena entrata è una signora. E quindi, come buona educazione vuole, lui si alza, sorride, tende la mano. «Sono Michel», dice in uno strano ma comprensibile misto di francese, spagnolo, italiano e inglese, «qual è il suo nome?».  Nessuna sorpresa, niente timidezza.

L'uomo senza identità (il cui caso era stato esaminato dalla trasmissione "Chi l'ha visto?") - che da due mesi è ricoverato nel reparto di Psichiatria dell'ospedale di Pescara - ascolta uno dei medici: c'è una giornalista che vuole parlare con lui. Dice che va bene, non fa domande e non si scompone. E sorride.  Ieri mattina Donato Garibaldi, uno dei medici che lo seguono, gli ha detto che lo hanno riconosciuto. La polizia ha scoperto che l'uomo senza identità ricoverato da due mesi al Santo Spirito è Michel Doumesche, francese, 61 anni, scomparso dal 2008. Ma lui ha negato. Lo ha detto subito al medico: «Non sono io». 

E lo ripete stringendo in mano il foglio con l'articolo che racconta la sua storia. «Io non mi chiamo così. Qui dice che sono francese, ma io non lo sono. E mi chiamo Piaget. Don Miguel Piaget», spiega nel suo personalissimo esperanto. E per convincere tutti prende una penna e scrive il nome sul foglio.  «Jean Piaget è un famoso pedagogista», interviene il medico che ha seguito Michel da quando è arrivato, «e a lui capita spesso di identificarsi con studiosi di alto livello. Fisici, chimici».  «Abbiamo visto subito che è una persona particolarmente distinta, di cultura» dice il responsabile di psichiatria, Sabatino Trotta. «Spesso fa il baciamano alle colleghe.

E deve aver letto moltissimo: sui muri del reparto scrive formule che sembrano matematiche e citazioni celebri di autori classici, che usa anche quando parla. Non ha perso la memoria nè la lucidità. Solo l'identità. E forse per scelta».  Michel ai piedi ha un paio di pantofole verde scuro, i pantaloni del pigiama sono bianchi con dei fiocchi di neve stampati. Dalla giacca azzurra con i bottoni spunta una maglietta arancione. 

Ma lui, fisico asciutto e portamento invidiabile, non sembra a disagio. Semplicemente si rammarica del fatto che, vestito com'è, non può andare dove vorrebbe, sul lago di Lugano, in Svizzera.  «Eh sì, mi servirebbero delle scarpe, uno zaino. Ecco proprio uno zaino come il suo, solo un po' più grande. E dei pantaloni lunghi», spiega, lucidissimo.  E' tardi. «Lei ha fame?», chiede gentilmente. Poi saluta, sorride, e se ne va.

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