Morosini, spunta un'altra ambulanza bloccataCroce Rossa inutilizzabile perché senza autistamentre il 118 era fermato dall'auto del vigile

Sono stati di caos totale i 6 minuti e 24 secondi trascorsi allo stadio Adriatico di Pescara da quando Piermario Morosini barcolla e cade a terra a quando, in arresto cardiaco, viene trasportato in ospedale: un’ambulanza inutilizzabile perché chiusa a chiave e senza autista, l’auto dei vigili che blocca il secondo mezzo, il defibrillatore che in campo c’è, ma non viene usato: sono di totale

PESCARA. Un’ambulanza inutilizzabile perché chiusa a chiave, l’auto dei vigili che blocca l’arrivo in campo del secondo mezzo, il defibrillatore che in campo c’è, ma che non viene usato: sono di totale caos i 6 minuti e 24 secondi trascorsi (secondo il filmato live di Sky) da quando Piermario Morosini barcolla e cade a terra a quando, in arresto cardiaco, viene trasportato in ospedale.

LE IMMAGINI
Le ambulanze / Le barelle / Il defibrillatore

Sei minuti e 24 secondi in cui fuori e dentro il campo avviene di tutto.

Ambulanza bloccata. A cominciare da un’ambulanza della Croce Rossa che con l’emergenza in corso non si muove perché nell’area Maratona il mezzo è chiuso a chiave e in quei momenti concitati l’autista non si trova, mentre l’ormai nota auto dei vigili urbani, con il freno a mano tirato e chiusa a chiave, ne blocca comunque il passaggio al campo. Quando la Croma dell’ufficiale della polizia municipale (su cui è stato avviato un procedimento disciplinare) viene spostata a spinta, l’equipaggio della Croce Rossa è arrivato, ma l’ambulanza è ancora più bloccata di prima. La Croma è stata spostata in maniera tale da far passare il mezzo del 118 che dalla postazione sotto alla tribuna si è precipitato sul posto. «Per mero scrupolo», sottolinea il medico dell’equipaggio Vito Molfese, convinto che ci fosse un’altra ambulanza visto che il 118 ha la gestione dell’infermeria dedicata esclusivamente a garantire il soccorso sugli spalti.

La barella sbagliata. Mentre l’unità mobile di rianimazione si dirige verso Morosini, è dall’ambulanza della Croce Rossa che tirano fuori la barella su cui viene poi caricato il calciatore. Ma quella barella non entra però nell’ambulanza del 118 e nel delirio più totale il ragazzo in arresto cardiaco, come scrivono al pronto soccorso quando finalmente arriva, viene trasbordato dalla barella della Croce Rossa a quella del 118. Che cosa è avvenuto in quei tre minuti e 42 secondi, il tempo calcolato dal filmato in diretta di Sky tra il malore del calciatore e l’arrivo dell’ambulanza in campo? Chi c’era, racconta di un caos totale, con l’ambulanza che non arrivava e il defibrillatore che c’era ma non è stato usato se non quando, 9 minuti e mezzo dopo l’inizio del malore, il calciatore arriva in ospedale. Ma perché?

Il defibrillatore. Sin da sabato pomeriggio i soccorritori hanno risposto sempre in maniera vaga rispetto all’utilizzo del defibrillatore. Oggi si scopre che in campo di defibrillatori ce n’erano due, uno affidato alla Croce Rossa, sulla metà nord del campo, e uno alla Misericordia, sulla metà sud. Sabato, mentre il massaggiatore del Pescara Claudio D’Arcangelo si precipitava a soccorrere Morosini, seguito dal medico del Livorno Manlio Porcellini e da quello del Pescara Ernesto Sabatini, e mentre dalla tribuna in circa due minuti è arrivato anche il primario di Cardiologia Leonardo Paloscia, un volontario della Misericordia come da procedura ha portato ai soccorritori il defibrillatore acceso e pronto per l’uso. Marco Di Francesco, questo il suo nome, ha raccontato questo particolare a una televisione locale affermando che proprio il medico del Livorno avrebbe deciso di non utilizzarlo. Eppure, ha affermato il paramedico «durante il massaggio cardiaco il ragazzo presentava un polso carotideo, e sputava la cannula, quindi era vivo...».

Dichiarazioni che cozzano con quelle rilasciate dallo stesso professor Paloscia dopo la morte di Morosini (dichiarata alle 16,44 di quel maledetto sabato): «Il defibrillatore in campo non l’ho visto, ma sono arrivato quando già stavano caricando il ragazzo in ambulanza e il suo cuore non dava segnali. In ogni caso ho avvertito il pronto soccorso di prepararmi il defibrillatore». In qualità di leader del soccorso, in quanto il più alto in grado al momento del primo soccorso, il medico del Livorno avrebbe escluso l’utilizzo del defibrillatore in quanto il battito cardiaco del calciatore si sentiva ancora, e dunque non c’era la defibrillazione che invece è stata poi diagnosticata dopo la sua morte. Sarebbe stata questa valutazione, di fronte al rischio di perdere secondi preziosi necessari comunque al macchinario per analizzare il ritmo cardiaco del paziente prima della scarica elettrica, a far scegliere di continuare con la rianimazione cardiopolmonare attraverso massaggio e ventilazione.

Si poteva salvare? È un dubbio atroce che solo l’autopsia potrà chiarire. Di certo, nei primi soccorsi molto ha pesato la confusione che c’è su chi è responsabile dell’assistenza sanitaria allo stadio. Da una parte c’è la convenzione con la Asl sventolata dal presidente del Pescara Daniele Sebastiani secondo cui, dal 12 gennaio 2012 e per tutto il campionato, la Asl si impegna per la fornitura di assistenza sanitaria e di emergenza ai giocatori e alla tifoseria durante le partite di calcio della prima squadra e del settore giovanile. Dall’altro c’è il personale del 118 che non ne sa nulla, fermo alla convenzione con cui alla Asl è affidata l’assistenza al pubblico attraverso l’infermeria, mentre l’assistenza in campo è a carico dei medici delle squadre.
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