Morosini ucciso da malattia genetica

In una relazione di 250 pagine l’esito dell’autopsia sul calciatore del Livorno morto lo scorso aprile a Pescara

PESCARA. Piermario Morosini è stato ucciso da una cardiomiopatia aritmogena, una malattia genetica del muscolo cardiaco che determina l’insorgenza di aritmie ventricolari fino alla fibrillazione e all’arresto cardiaco. A distanza di 78 giorni dalla morte del calciatore del Livorno di 25 anni che lo scorso 14 aprile si accasciò improvvisamente sul campo dell’Adriatico durante la partita contro il Pescara, è arrivato l’esito dell’autopsia.

Nella relazione di 250 pagine consegnata nei giorni scorsi al pm Valentina D’Agostino, il medico legale Christian D’Ovidio ha approfondito , attraverso esami genetici e istologici, ogni singolo aspetto della storia sanitaria del centrocampista bergamasco per rispondere a quanto richiesto sin dall’inizio dal procuratore aggiunto Cristina Tedeschini: «Un’autopsia ad ampio raggio per sapere più cose possibili» su una morte che ha sconvolto tutto il mondo dello sport e non solo, al punto da indurre la Figc a sospendere per quella giornata tutti i campionati .

Perché l’interrogativo era e resta solo uno: Piermario Morosini poteva essere salvato con l’uso tempestivo del defibrillatore automatico apparso sin dai primi momenti in campo e che invece, come emerso dalle indagini della Digos di Leila Di Giulio, nessuno dei quattro medici ha applicato al giovane agonizzante? Una conclusione a cui il pm D’Agostino, che ha aperto un fascicolo per omicidio colposo a carico di ignoti, dovrà arrivare dopo l’attenta lettura della relazione del medico legale. Per ora ci sono esperti del calibro del professor Gaetano Thiene, coordinatore scientifico del gruppo di patologia cardiovascolare dell’università di Padova, sede del registro europeo della cardiomiopatia ventricolare, a spigare: «La cardiomiopatia aritmogena è una malattia del muscolo cardiaco caratterizzata da una perdita progressiva della vitalità delle cellule che vengono sostituite da tessuto fibro-adiposo che a sua volta determina l’insorgenza di aritmie ventricolari fino alla fibrillazione e all’arresto cardiaco, soprattutto sotto sforzo. Per questo è la causa di morte più frequente tra gli atleti in Italia, una malattia che fu scoperta proprio a Padova negli anni Ottanta dopo un susseguirsi di morti improvvise che ci consentì di studiare per primi la malattia. Nel caso di Morosini si è manifestata evidentemente in una forma molto mascherata, quasi invisibile, ma ciò non toglie che di fronte a casi estremi come questo, il defibrillatore, che è un salvavita, avrebbe potuto riportarlo a un ritmo regolare». Forse poteva funzionare, forse non sarebbe servito a niente, ma è una controprova che per il povero Piermario, 25 anni e una vita segnata dalla morte della mamma, di un fratello e del papà, quest’ultimo proprio per un problema cardiaco, non c’è mai stata. Di certo, come emerso dall’esame del dottor D’Ovidio, a uccidere Morosini in una manciata di minuti, nonostante il lungo tentativo di rianimarlo dei medici dal campo al pronto soccorso, dove fu dichiarato morto a poco più di un’ora dal malore, è stata una malattia genetica presumibilmente nel suo stato iniziale. Come spiega ancora il professo Thiene, «malattia genetica non vuol dire che sia presente alla nascita, ma che è geneticamente determinata, con un codice genetico sbagliato che si manifesta soprattutto sotto sforzo».

Afferma la dottoressa Cristina Basso, perito della famiglia di Morosini e componente dello staff del professor Thiene: «Mi risulta che la malattia fosse agli inizi del suo percorso e che fosse molto difficile diagnosticarla. Il ragazzo non aveva dato nessun segnale di malattia, quindi la responsabilità della sua morte non credo sia di chi lo ha avuto in carico sanitario per anni». Di certo, aveva sottolineato la stessa Basso , «l’uso del defibrillatore avrebbe dato qualche chance in più di salvezza al ragazzo».

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