NEL WEB LE REGOLE ESISTONO

4 Maggio 2013

 

«La questione del controllo del web», dice Laura Boldrini a Repubblica, «è delicatissima». Ma «non per questo non dobbiamo porcela». Giusto, ma le premesse del ragionamento del presidente della Camera sono errate. Perché non è vero che consideriamo «meno rilevante quel che accade in rete rispetto a quel che succede per strada»: la legge non distingue, nell'applicazione, tra reale e virtuale. Noi neppure.

Certo, il caso delle migliaia di mail rubate ai parlamentari del MoVimento 5 Stelle dai sedicenti «hacker del Pd» dimostra che lo strumento pone al legislatore nuove sfide. Ma ciò non giustifica l'idea che la rete sia un luogo anarchico, un far west dove le regole non valgono: i ripetuti arresti di membri di Anonymous, gli irreperibili per eccellenza, sono lì a dimostrarlo.

Ancora, non è vero che il problema, come si deduce dalle parole di Boldrini, sia la eccessiva libertà sul web. I più autorevoli rapporti internazionali, e la cronaca, dicono che semmai dovremmo capire come si contrastino una censura digitale e una sorveglianza elettronica di massa (anche con la complicità di aziende italiane) sempre più invasive e invisibili. Su questo, tuttavia, mai una parola.

Boldrini lamenta poi giustamente che le minacce, anche di morte, siano intollerabili, in rete e fuori. Ma non è assoldando squadre di poliziotti online per rimuovere ogni menzione a contenuti ritenuti sgraditi o insultanti, come predisposto dallo stesso presidente della Camera per la finta foto che avrebbe dovuto ritrarla senza veli, che si promuove un ecosistema online più tollerante (ammesso competa alla politica). Al contrario: gli articoli che denunciavano la bufala, come scrive il Giornale, hanno finito per essere rimossi insieme a quelli che sfruttavano la polemica per un pugno di click. Non un buon metodo se si desidera, come auspicato dal presidente Napolitano nel discorso di insediamento e dal neopremier Enrico Letta in Parlamento, che anche attraverso la rete possa prodursi «un oggettivo miglioramento della qualità della nostra democrazia rappresentativa».

La sensazione è che nelle parole di Boldrini non ci sia uno scarto culturale significativo rispetto all'atteggiamento dei governi Berlusconi, quando l'onorevole Lauro si spinse a ipotizzare l'uso di Facebook come aggravante di reato, e Monti, con l'idea dell'allora ministro Severino dei blog come «mondo privo di regolamentazione». E del resto, tra i ministri del governo Letta figura Gianpiero D'Alia, autore di un emendamento che avrebbe comportato la chiusura dei social network per omessa vigilanza anche solo su un commento che configurasse apologia di reato o istigazione a delinquere.

L'aria non è cambiata. E così l'ex ministro Giorgia Meloni può addirittura ricondurre l'attentato ai carabinieri fuori Palazzo Chigi ai «deliri da “terroristi virtuali”» e a chi «esaspera il clima da dietro un monitor». Si deve, invece, ribadire che la responsabilità è sempre umana, individuale.

Che il problema non è Internet, ma l'intolleranza e l'insofferenza che serpeggiano tra gli italiani che lo usano. E a Roberto Natale, portavoce della terza carica dello Stato ed ex presidente del sindacato dei giornalisti, giova ricordare che se «ogni volta che si interviene a cancellare un messaggio, ad oscurare un sito» c'è una «reazione fortissima della rete», non è la rete a reagire, né tantomeno per tutelare la sua libertà. Siamo noi utenti a farlo, e per tutelare noi stessi.

Visti i precedenti, dal decreto Romani all'«ammazzablog», e il richiamo di Pietro Grasso a nuove leggi specifiche per il web, meglio la prudenza.

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