Niente processo d'appello per mille imputati

Nel 2011 la Corte aquilana ha dichiarato inammissibili 1019 ricorsi: "Motivi generici"

PESCARA. Nel 2011, durante l'era di Giovanni Canzio alla presidenza della Corte d'appello, sono state oltre mille le ordinanze di inammissibilità dei ricorsi presentati contro sentenze di condanna emesse in primo grado per reati di vario genere: dalla truffa al falso, dalle armi al furto fino alla ricettazione. Un numero impressionante, che in 12 mesi ha sfoltito in maniera pesante il carico di arretrati che da anni grava sui giudici aquilani, nonostante l'elevata produttività individuale di sentenze (400 a testa).

LE SPESE. Lo stop "preventivo" alla celebrazione del dibattimento è stato giustificato nella gran parte delle ordinanze con «il palese difetto di specificità dei motivi», ritenuti «apodittici e congetturali» rispetto alle «argomentate ragioni poste a fondamento della sentenza del tribunale» di turno, soprattutto quello di Pescara. E ha avuto come conseguenza immediata l'esecuzione della sentenza impugnata e la condanna dell'appellante al pagamento delle spese del procedimento. La stragrande maggioranza delle ordinanze non è stata impugnata sia per carenza di interesse, sia perché molti avvocati non sono cassazionisti, sia per la difficoltà dei difensori ad avvertire - via raccomandata - il "cliente" imputato, che dalla notifica via fax dell'ordinanza ha solo 15 giorni di tempo per presentare ricorso in Cassazione, con il rischio - in caso di analogo rigetto - di pagare alla Cassa delle ammende una cifra che oscilla tra i mille e i 1500 euro. Spesso, infatti, la vetustà dei procedimenti rende complicato per il legale rintracciare il proprio assistito e informarlo in tempi ragionevoli e con modalità tali da evitare future censure all'operato difensivo.

IL CONDONO. E se in molti casi gli imputati hanno potuto usufruire del condono, in altri - trattandosi di ricorrenti incappati nella recidiva quinquennale, cioè nell'avere commesso lo stesso reato più di una volta in 5 anni - l'esecuzione immediata delle sentenze ha significato l'apertura delle porte del carcere. Chi, invece, ha fatto ricorso alla Corte suprema si è visto quasi sempre annullare l'ordinanza d'inammissibilità, con conseguente restituzione degli atti ai magistrati aquilani affinché procedessero «alla celebrazione del giudizio di secondo grado». I giudici romani di piazza Cavour hanno ritenuto «non ravvisabili tali radicali carenze» perché l'appello proposto «non appare così generico» e i «motivi sono al contrario chiaramente percepibili», riguardando o «la mancata concessione delle attenuanti generiche e del fatto di lieve entità» o «la diversa valutazione in fatto degli elementi di prova» o ancora «la congruità della pena e della qualificazione dei fatti».

IL GIRO DI VITE. L'impennata di ordinanze di inammissibilità ha abbattuto il numero di ricorsi, sbarrando di fatto l'accesso al processo di secondo grado. Un giro di vite durato fino a quando non è arrivato il nuovo presidente della Corte d'appello, con il quale il numero di "stop formali" agli atti d'appello è tornato in linea con il trend degli anni precedenti. I paletti ai ricorsi sono stati motivati tutti con formule tipo: «motivi non specifici, ma soltanto apparenti»; «assunti meramente apodittici e congetturali»; «genericità e aspecificità dei motivi d'appello». O con una "blindatura" della sentenza di primo grado: «Il primo giudice ha ampiamente esposto le ragioni ostative con riferimento alle censure mosse con il ricorso».

© RIPRODUZIONE RISERVATA