«Noi, gli ultimi frantoiani che resistono»

I Di Giovanni e l’impianto aperto da più di 70 anni in via Vestina: «Un mese all’anno di sacrifici per la passione di papà»

MONTESILVANO. Tutti lo conoscono come lu trappit di Ricciut, il soprannome della famiglia. Eccolo l’ultimo frantoio di Montesilvano: fino a 10 anni fa, in città, c’erano 4 frantoi in attività ma uno dopo l’altro hanno chiuso i battenti. È come se la Montesilvano dei palazzi abbia espulso e confinato i frantoi nei paesi del circondario: una selezione naturale delle attività. Così, l’unico rimasto aperto, quasi come una promessa da rinnovare ogni volta, è quello della famiglia Di Giovanni, lungo via Vestina, all’incrocio con via Pavese. «Questo impianto lo fondò il mio bisnonno, Giuseppe Di Giovanni», racconta Antonio Di Giovanni che a 72 anni continua ancora a intrecciare le corde per i fiscoli, quei dischi bianchi e perfetti indispensabili per la spremitura delle olive. Dopo il bisnonno, arrivarono Alessandro Di Giovanni e la moglie Lucia D’Angelo. E oggi, a portare avanti quell’attività di famiglia che va in letargo per 11 mesi all’anno e si risveglia soltanto a ottobre quando i trattori si mettono in fila ci sono i figli del signor Antonio, Marco Di Giovanni e Luciana Di Giovanni.

Il frantonio dei Di Giovanni ha un’età imprecisata: nacque prima del signor Antonio e i figli se lo ricordano sempre lì, quasi come un monumento, in cima a quel vicolo un po' in salita. «Qui seguiamo il sistema tradizionale di spremitura delle olive a freddo, amiamo la tradizione», raccontano i Di Giovanni. E i figli di Antonio e della signora Chiara La Selva sottolineano quanto è pesante l'eredità del mestiere: «Non vogliamo chiudere il frantoio anche mantenerlo aperto ci costa tanta fatica e tanti sacrifici. In quel mese di lavoro, stiamo qui giorno e notte quasi senza dormire e ci guadagnamo soltanto un pugno di euro. Facciamo i salti mortali per andare avanti e lo facciamo per un senso di rispetto verso i nostri avi e per i nostri clienti storici, sì perché anche loro si tramandano di padre in figlio». Nella vita di tutti i giorni, Marco è un frigorista con la sua ditta Dgm mentre Luciana lavora al banco di una gastronomia. Un’attività che si regge sulla famiglia: collaborano anche la moglie di Marco, Marianna Di Berardino, e il marito di Luciana, Lino Bellante, poliziotto in pensione per una vita alla squadra mobile di Chieti.

Negli anni, la lavorazione delle olive è cambiata ma i caratteri impressi sulle vecchie macchine blu fanno pensare alla tradizione: è scomparso quello che in dialetto si chiamava l’umbern, un vecchio pozzo in cui finivano acqua e olio, poi l’olio saliva a galla e si raccoglieva a mano. Oggi un sistema di pompe ha meccanizzato le operazioni.

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