PESCARA

«Organizzò il pestaggio del patrigno per 500 euro» 

Tentato omicidio con il Coumadin, madre e figlio sotto accusa. Uno dei complici rivela il piano in tribunale: «Dovevo mandarlo in ospedale per almeno tre giorni»

PESCARA. «E' un viscido pedofilo, dovete rompergli le ginocchia. Dovete mandarlo in ospedale per almeno tre giorni, senza fargli troppo male. Mi serve vivo. Dovete dargli soltanto una lezione, fargli uscire il sangue, poi al resto ci penso io. Così mi disse Michele Gruosso».
Sono le parole pronunciate da Zabala Mosquera, uno dei quattro imputati nel processo per il tentato omicidio di Antonio Di Tommaso, l'imprenditore di Spoltore che la moglie Daniela Lo Russo, e il figliastro, Michele Gruosso, volevano uccidere somministrandogli massicci dosi di Coumadin, un farmaco che impedisce la coagulazione del sangue. Ieri, in udienza, madre e figlio (accusati di tentato omicidio aggravato) avrebbero dovuto sottoporsi all'interrogatorio, ma non si sono presentati.
C'era invece il colombiano (che deve rispondere solo dell'aggressione) che ha fornito la sua versione dei fatti, incastrando Gruosso che lo aveva peraltro ingannato con quella falsa storia della pedofilia. Era stato ingaggiato proprio dallo stesso imputato per aggredire la vittima e procurargli lesioni interne che, con il farmaco che madre e figlio gli somministravano già da tempo (il malcapitato era stato costretto a numerosi ricoveri in ospedale senza che si trovasse l'origine del suo malore continuo), lo avrebbero portato alla morte: un omicidio perfetto, sventato però grazie all'acume investigativo dei carabinieri che, partendo proprio da quella aggressione inspiegabile, con le intercettazioni telefoniche risalirono al mandante e ai quattro imputati, riferendo poi ai medici il problema del farmaco.
«Gruosso mi fu presentato da Marco Faggion», anche lui imputato quale intermediario per quella aggressione, «Michele mi disse piangendo che quell'uomo era un pedofilo ed aveva fatto del male alla sorella e doveva essere punito. Avrei anche potuto prendermi quei 500 euro e andare via senza fare nulla, ma nella mia cultura chi tocca un bambino deve pagare». Il colombiano ha poi ricostruito quella sera del 10 luglio del 2016. "Gruosso mi accompagnò sotto casa dell'uomo e, da dietro una siepe, me lo indicò. Con Michele c'era anche un uomo con il passamontagna e una mazza di legno che non ho mai saputo chi fosse. La reazione della vittima fu però inaspettata. Era molto grosso: si mise a gridare e reagì. Cercai di colpirlo con un pugno ma ne presi uno io mentre l'altro lo colpì con il bastone ad un fianco. Poi scappammo perché gridava troppo. Quei soldi non li presi più, anche perché Gruosso mi rimproverò con un messaggio di non aver fatto quello che dovevamo fare».
E' stato poi interrogato anche Faggion, la cui posizione sembra però molto marginale. «Io gestisco un circolo privato di ballo latino americano. Conoscevo Gruosso tramite l'altro patrigno. Un giorno mi incontrò e mi disse se conoscevo qualcuno perché doveva spaventare una persona. Gli indicai Mosquera che frequentava il circolo e una volta mi aveva aiutato in una rissa nel locale. Ma li ho fatti solo incontrare e non ho assistito a quello che si dissero. Non volevo sapere niente di niente».
Nelle precedenti udienze erano stati sentiti gli investigatori e i medici dell'ospedale e no, che conoscevano le condizioni fisiche di Di Tommaso, anche lui sentito dal tribunale. La prossima udienza è stata fissata per il 9 ottobre prossimo, quando dovrebbero essere interrogati i due principali imputati: Daniela Lo Russo e Michele Gruosso.