«Ospedali uniti, un'ipotesi ardua»

D'Amario: gestione comune lontana. Visci: no a reparti doppione
PESCARA. «L'idea di fondere in un'unica azienda ospedaliera Pescara e Chieti, dev'essere un punto di arrivo e non di partenza. Ma per il momento, una fusione amministrativa del genere è lontana, mentre quello che si può fare, e ci stiamo già muovendo in questa direzione, è creare una complementarietà tra i reparti di Pescara e Chieti: aggiungere o togliere dove è necessario. Questo è quello che si può realizzare subito».
Sono le perplessità di Claudio D'Amario, direttore generale della Asl che, per il momento, non crede realizzabile quella fusione ospedaliera tra Pescara e Chieti paventata dall'Udc pescarese - dal cooordinatore regionale Rodolfo De Laurentiis e dal capogruppo in Comune Vincenzo Dogali - che hanno auspicato l'unione dei due ospedali per abbattere gli sprechi ed evitare reparti doppione.
Non una fusione, ma un'integrazione: è questo il termine che D'Amario preferisce usare quando spiega che, ad esempio, «se a Chieti c'è un ottimo centro per la fertilità, allora è inutile crearne un altro a Pescara e che, in alcuni casi, come per neuroscienze, il polo materno infantile e quello cardiovascolare, è stato già avviato un percorso univoco». D'Amario sposa quindi, come spiega, «l'unione del percorso clinicizzato tra Pescara e Chieti», ma crede che pensare a uno stesso cappello amministrativo non sia possibile. Una linea, quella del direttore amministrativo, abbastanza vicina a parte della proposta lanciata dall'Udc pescarese che, nei tre obiettivi del programma, ha parlato proprio di «complementarietà tra le strutture dell'area metropolitana, di integrazione, in modo da sinergizzare le risorse professionali e tecnologiche evitando le duplicazioni costose e improduttive di discipline di secondo e terzo livello».
Un'idea quella dell'Udc non nuova, come racconta il primario del dipartimento materno infantile dell'ospedale di Pescara, Giovanni Visci, quando ricorda: «Anni fa, era la fine del 2007, facemmo alcuni incontri tra primari di Chieti e Pescara da cui stilammo un documento in cui ci dichiaravamo favorevoli all'ipotesi di un'unica azienda, ma con alcune clausole di garanzia: che continuassero a esistere i due presidi con specialità di base (medicina, chirurgia, pediatria, ostetricia). Ma per le specialità di secondo e terzo livello come chirurgia plastica, toracica o neurochirurgia, avvenisse una selezione per evitare doppioni».
«In una prima fase», racconta ancora Visci, «quel documento di vicinanza venne accolto dai colleghi di Chieti ma, poco dopo, lasciarono cadere il discorso e insomma perdemmo la loro sponda». Ma tra le riserve espresse all'epoca da Visci, c'era anche quella sugli organici e che «l'articolazione degli organi dirigenti fosse bilanciata tra il personale di Chieti e Pescara». Ma a distanza di anni, e con situazioni diverse, per Visci, la fusione in un'unica azienda ospedaliera di cui, anche il medico, apprezzerebbe il taglio dei reparti fotocopia, si fa più lontana perché «adesso la situazione finanziaria di Chieti è pesante e occorrerebbe fare in modo che lo sbilanciamento di Chieti non andasse a ripercuotersi su Pescara». Non un'azienda unica, ma «meglio strutture comuni come quelle di servizio - laboratorio e radiologia - unificate sia a Chieti sia a Pescara».
Il manifesto della fusione dell'azienda ospedaliera è venuto da un gruppo vicino alla maggoranza a cui l'opposizione, il capogruppo Pd Moreno Di Pietrantonio, risponde con una provocazione: «Se l'obiettivo è il risparmio, allora perché non pensare a una Asl abruzzese unica?», si domanda Di Pietrantio. «A guidare deve essere solo l'aumento del livello delle prestazioni».
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