Pescara, l'ossessione del papà omicida

30 Aprile 2014

Gianfranco Di Zio, l'uomo che si è chiuso in macchina con la bimba con una tanica di benzina,  era finito sotto accusa per lesioni nei confronti della convivente e abuso di mezzi di correzione e nei confronti della piccola. Ma la querela era stata ritirata

PESCARA. Non ci sarà, Ena Pietrangelo, ai funerali della sua piccola arsa viva dalle fiamme per mano di un padre «che imponeva alla bimba comportamenti ossessivi, senza significato protettivo o pedagogico», come raccontano le carte processuali. Mentre l’operaia tessile, la mamma di 44 anni originaria di Cepagatti, è ancora priva di coscienza ricoverata al Centro grandi ustionati di Roma, la sua figlioletta di cinque anni sarà salutata per l’ultima volta il 1° maggio alle 15 nella chiesa di Santa Lucia di Cepagatti.

Lutto cittadino per Neyda. Un addio straziante con il centro in cui sarà proclamato il lutto cittadino per Neyda, la bambina che il 24 aprile aveva compiuto 5 anni e che tre giorni dopo è morta per lo scellerato gesto del padre Gianfranco Di Zio: l’uomo di 48 anni che domenica scorsa si è chiuso in macchina con la sua bimba, con una tanica di benzina e con un accendino. I funerali di Di Zio, dalla cui unione con Pietrangelo era nata Neyda, si terranno oggi alle 17 nella chiesa di San Giuseppe a Pescara, la città dove l’uomo abitava dormendo un po’ dalla mamma e un po’ nel suo camion e dove domenica ha deciso di farla finita coinvolgendo anche l’innocente. «Perché il fuoco? Perché mio fratello viveva un inferno in terra», dice Rita Di Zio, una delle sorelle di Gianfranco in una tragica vicenda che coinvolge due famiglie chiamate a partecipare a due funerali come racconta Rita che, oggi, sarà a quello del fratello e domani a quello della nipotina. «E sulla bara di mia nipote chiederò perdono per quello che ha fatto mio fratello», dice ancora.

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«Chiederò perdono per mio fratello». «Non so dare una spiegazione al gesto di Gianfranco. Per la bimba c’era ancora il vincolo del tribunale dei minori ma con Ena si era riappacificato», aggiunge Rita Di Zio. «Il sindaco di Cepagatti ha detto che erano stati messi a disposizione tutti gli strumenti: quali? quali sono stati?», si domanda la donna chiedendosi se il sostegno da parte di qualcuno avrebbe potuto aiutare l’uomo ed evitare la tragedia di via Lago di Chiusi a Pescara. Eppure, in quello che è accaduto, restano ancora alcune ombre come controverso sarebbe stato il rapporto tra i conviventi Pietrangelo e Di Zio. Intanto, ieri, il medico legale Ildo Polidoro, su incarico del pm Andrea Papalia, ha stabilito nell’autopsia durata oltre cinque ore che i due corpi sono morti carbonizzati dalle fiamme. L’anatomopatolgo ha estratto anche il Dna e si è riservato 60 giorni per effettuare le indagini genetiche-tecniche per arrivare alla certa identificazione delle due vittime. Restano gravi, invece, le condizioni di Pietrangelo rimasta ustionata nel tentativo di salvare la figlia: la donna è ricoverata in prognosi riservata con ustioni di secondo grado sul 40% del corpo e di terzo sul 5%.

Le «regole imposte» e la querela ritirata. Alle spalle della tragedia di via Lago di Chiusi c’è una storia di violenza, di maltrattamenti e un rapporto poco chiaro tra i due conviventi con una bimba nel mezzo costretta prima ad andare in una casa famiglia e quindi affidata alla madre. A raccontarlo è l’iter processuale iniziato con la denuncia sporta da Pietrangelo nei confronti del convivente ai carabinieri di Cepagatti. Di fronte a quella denuncia per violenza, con la donna che aveva riportato le costole rotte e con i comportamenti di Di Zio definiti «ossessivi» nei confronti della figlioletta, il pm dell’epoca chiese l’allontanamento della figlia dai coniugi che, infatti, venne affidata a una casa famiglia. Dopo la denuncia Di Zio, assistito dall’avvocato Fabio Di Carlo, era finito sul banco degli imputati per maltrattamenti, abuso di mezzi di correzione nei confronti di Neyda e di lesioni nei confronti della convivente. Un uomo «ossessivo», come emerge dal capo d’imputazione, che oltre alle lesioni a Pietrangelo avrebbe imposto alla piccola regole che il pm definisce «prive di alcun significato» e che, poi, elenca: «Neyda doveva andare a dormire alle 19», «Neyda non doveva avere nessun contatto con le sorelle del primo matrimonio di Ena». Un cura maniacale nel tenere separati i due contesti tanto da, sempre secondo il pm, «imporre che la bimba mangiasse cibo cucinato separatamente rispetto a quello delle sorelle».

 

L’interrogatorio di Zio e i bigliettini d’amore. Durante l’interrogatorio Di Zio avrebbe un po’ negato, un po’ ammesso, avrebbe detto di essere innamorato portando in aula anche i bigliettini d’amore che la donna gli avrebbe indirizzato. Da un lato un uomo che avrebbe malmenato la donna con cui aveva concepito una figlia e dall'altro la donna che, prima denuncia il convivente, ma poi forse in seguito a un riavvicinamento decide di ritirare la querela. Ma quei reati, annota il gup, sono procedibili d’ufficio e quindi il procedimento arriva a sentenza con il patteggiamento di Di Zio a un anno (pena sospesa). Nel frattempo Neyda era stata affidata dal tribunale dei minori alla mamma sotto l’occhio dei servizi sociali e con il padre che poteva fare visita alla bambina solo per un'ora a settimana. E’ da questa restrizione che, per i familiari di Di Zio, sarebbe nato «quell’inferno» che viveva il fratello. Ma cosa è accaduto, poi, nella giornata di domenica scorsa deve essere ancora ricostruito con esattezza. Se la squadra Mobile alla guida di Pierfrancesco Muriana ha aggiunto, ieri, un altro tassello a quella giornata trovando la moto di Di Zio, c’è ancora un’ora avvolta nel mistero.

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Trovata la moto di Di Zio. Secondo la ricostruzione, Di Zio sarebbe arrivato con la sua moto Malaguti in una zona vicino al cementificio di Pescara dove avrebbe dato appuntamento a Pietrangelo che, nel frattempo, sarebbe arrivata con la sua auto. Una volta saliti all’interno della Peugeot della donna – dove poi è accaduta la tragedia – i due sarebbero andati a casa della mamma di lui dove ad attenderli c’era la bambina. In casa, secondo il racconto della nonna, il clima sarebbe stato sereno. Poi, cosa è accaduto tra le 17 e le 18, è ancora da capire anche se nella ricostruzione degli investigatori si parlerebbe di premeditazione del gesto, di un piano architettato.

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