Pescara, la Cassazione sul Caffè Venezia"Il sequestro deve essere riesaminato"

I giudici: il ricorso del pm è fondato smentita la decisione del Riesame. Indagata la famiglia Granatiero. Varone: "Ha impiegato denaro del clan Romito"

PESCARA. La Cassazione giudica «fondato» il ricorso presentato dal pm Gennaro Varone e riapre la partita sul sequestro dei Caffè Venezia, i locali appartenenti alla famiglia Granatiero finiti al centro dell'inchiesta per riciclaggio con 7 indagati. A decidere se nei bar dovranno tornare o meno i sigilli dovrà essere ancora il Riesame, lo stesso che il 17 ottobre 2011 aveva restituito i locali ai titolari accogliendo il ricorso dei difensori degli indagati tra cui Pasquale e Michele Sabastiano Granatiero che gestiscono i caffè in piazza Salotto e in via Venezia.

Poco dopo, il pm aveva impugnato quella decisione ricorrendo ai giudici di legittimità per verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e, due giorni fa, sono state depositate le motivazioni della Cassazione: «Il ricorso del pm è fondato e va accolto. Il tribunale fa un esame di merito, anche contraddittorio, che non è ammesso in questa sede ma in quella del giudizio di merito».

Al centro dell'inchiesta per riciclaggio che il 12 settembre dello scorso anno aveva portato la Guardia di finanza di Mauro Odorisio e la squadra mobile di Pierfrancesco Muriana a sequestrare i locali della famiglia pugliese c'è un presunto collegamento tra i Granatiero e il clan Romito perché, per l'accusa, i titolari del Caffè Venezia «avrebbero utilizzato denaro di provenienza delittuosa e, in particolare, provento di attività delittuose imputabili ad Antonio Michele Romito e Mario Luciano Romito».

Il giudice del Riesame Antonella Di Carlo aveva smussato il rapporto tra le due famiglie concludendo che non emergevano «elementi concreti» per individuare un collegamento tra il clan e gli indagati. Il ricorso del pm ha invece presentato una tesi opposta accolta dalla Cassazione. «Si deve rilevare», spiegano i giudici di legittimità, «che il tribunale esamina la questione della mafiosità dei Romito, persone dalla quali per l'accusa gli indagati ricevono il denaro da riciclare, anche se nell'imputazione non si afferma che il reato presupposto sia quello previsto dall'articolo 416 bis, associazione di tipo mafioso. Al contrario, il tribunale non tiene conto di tutti gli accertamenti effettuati dalla procura che, per la loro novità, superano gli elementi posti a fondamento dell'autorità pugliese».

Per la Cassazione, il Riesame «nell'esaminare il contenuto delle intercettazioni rileva un rapporto economico tra i Romito e i Granatiero e opera poi una deduzione logica riservata alla sede del giudizio di merito e in contrasto con quanto emerge da altri elementi assolutamenti ignorati nella motivazione». Per evidenziare i rapporti tra le due famiglie, la Cassazione spiega: «Il Riesame non affronta il fatto che Pasquale Granatiero, in un'intercettazione, riferisce di aver incontrato Luciano, nome di battesimo di Luciano Romito e non tiene conto che Sebastiano Granatiero si è recato in Puglia e ha parcheggiato la sua auto nella stessa via dove si trova il bar di Romito. Significativo», concludono i giudici, «è che dopo il rientro dalla Puglia, Granatiero ha versato sui conti delle società sequestrate 35 mila euro in contanti».

Per questi motivi, la Cassazione ha accolto il ricorso del pm rinviando al Riesame la nuova decisione sul sequestro dei locali.