Pescara, Ludopatia: settanta persone in cura, trenta già salvate

Di Pietrantonio da due anni a capo del servizio del Serd: si può guarire ma serve l’aiuto delle famiglie

PESCARA. «Il gioco d’azzardo patologico è un’emergenza sociale che porta alla disgregazione affettiva ed economica: si distruggono le famiglie e si dilapidano i patrimoni. Con il rischio di tragedie ancora più gravi». Moreno Di Pietrantonio, ex consigliere Pd, è il responsabile del servizio Gap (Gioco d’azzardo patologico) del Serd della Asl di Pescara (085.4253492). Piscologo e psicoterapeuta, da due anni ha aiutato trenta giocatori compulsivi ad abbandonare sale slot e lotterie. «Adesso», spiega, «seguiamo una settantina di persone, quasi tutte di estrazione sociale medio bassa, per la maggioranza uomini anche se le donne sono in crescita e con un’età compresa tra i 30 e i 50 anni». Di storie del disagio alimentato dal gioco compulsivo ne ascolta tutti i giorni: «C’è il figlio di una coppia di pensionati, lei quasi 80 anni e lui 84, che chiede continuamente soldi ai genitori pur di giocare. Loro non ce la fanno più: hanno paura che il figlio possa arrivare a vendersi la casa. Poi c’è il caso di un marito che si gioca tutto lo stipendio senza pensare alla moglie che ha poco più di vent’anni e ai due figli piccoli. E c’è anche il cinquantenne che si è giocato addirittura i regali della Comunione della figlia. Sono drammi che riguardano sempre più persone e che diventano sempre più gravi: la malattia è ingravescente, cioè si aggrava con il tempo». Di Pietrantonio spiega: «Il gioco d’azzardo patologico determina la perdita di controllo degli impulsi. È una dipendenza comportamentale: si diversifica dalla droga perché non c’è assunzione di sostanze stupefacenti ma, proprio come la droga, gli effetti dell’astinenza sono gli stessi».

Alla base del gioco compulsivo c’è l’«illusione di un guadagno facile». Come? Slot machine, Gratta e vinci, poker su Internet. «Si aspetta una vincita per cambiare vita ma», riflette il medico, «è un pensiero irrazionale».

Sono tre i giocatori tipo: ricreativo, che gioca solo per divertimento; problematico, che riesce a tenere sotto controllo il gioco; patologico, in cui si perde il controllo e non si può più fare a meno del gioco. «I malati di gioco», spiega l’esperto, «pensano solo al gioco: si distaccano dalla realtà e sono vittime di un delirio di onnipotenza nel senso che non capiscono di avere un problema». La presa di coscienza è il primo passo: «Ma il sostegno della famiglia è fondamentale», avverte Di Pietrantonio, «per dare il via a un cambiamento». Il percorso dura da 3 mesi a quasi un anno: «Ma si può guarire, ed è gratis: non si paga neanche il ticket». ©RIPRODUZIONE RISERVATA