Pescara, movida violenta, i ragazzini rapinati: "Ci dicevano dacci i soldi o muori" / Video

Ecco i racconti dei minorenni: portati in posti appartati, spogliati e picchiati con tubi di ferro, calci e pugni

PESCARA. «Quei tre mi dicevano che mi dovevo fermare e che gli dovevo dare tutto quello che avevo. Ho capito che era una rapina e, per questo, gli ho dato subito i soldi, circa 150-200 euro, e il cellulare, un iPhone4. Ma loro mi hanno picchiato lo stesso, prendendomi a schiaffi, calci e pugni. Non contenti, mi hanno ordinato anche di spogliarmi: addirittura uno di loro mi ha tolto lui stesso la maglia e mi ha strappato la catenina che avevo al collo impossessandosene. Sono rimasto completamente nudo e loro hanno continuato a sbeffeggiarmi con offese e ingiurie: uno ha usato anche un telefonino per illuminarmi il corpo e non so se abbia fatto anche un filmato. A un certo punto gli stessi sono sembrati soddisfatti e mi hanno restituito i vestiti, a eccezione di una t-shirt di colore verde con dei buchi. Dopo, sono risaliti a bordo della macchina e si sono allontanati». Ha 17 anni, è uno studente del liceo scientifico Leonardo da Vinci e fa il pr, cioè vende i biglietti per le discoteche guadagnandoci una percentuale, quasi una scusa per non essere soltanto un componente passivo della movida pescarese ma un attore protagonista tra la massa di ragazzini. È lui la prima vittima della violenza ingiustificata della banda della Multipla: avvicinato con una scusa davanti al Cutty Sark, si è ritrovato nudo a chiedere aiuto bussando alla porta di una casa.

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Il racconto dello studente-pr riporta alla notte tra il 29 e 30 marzo scorsi quando era in strada, sul lungofiume Paolucci, a vendere biglietti per il Cutty Sark. «Poi sono stato avvicinato da due ragazzi che mi hanno chiesto informazioni sui biglietti», ricorda il giovane nella denuncia alla polizia, «e mi hanno convinto a salire sulla loro auto, una Fiat Multipla scura. Dentro c’erano altre tre persone, due ragazzi e una ragazza». Poi, è stato portato in un luogo appartato e qui il branco si è divertito a pestarlo: «Mi hanno fatto scendere e a venti metri dalla macchina i tre mi hanno aggredito». Tre contro uno e altri due a fare da spettatori, seduti in macchina: schiaffi, pugni e calci senza un motivo, fino a provocargli ematomi ed escoriazioni per 5 giorni di prognosi. La denuncia per l’aggressione è stata presentata il giorno dopo, ma la svolta è avvenuta per caso: chiamato ad accompagnare gli agenti della squadra mobile sul luogo dell’aggressione, il ragazzo si è trovato sulla strada la stessa Multipla con le stesse persone dentro. «Sì, sono loro», quasi uno sfogo con gli agenti. È così che la polizia, fingendo un controllo con un’altra pattuglia della Volante, è riuscita a dare un nome e un cognome ai componenti della banda, personaggi che tra i 15 e i 24 anni hanno già un’«indole violenta» e «priva di freni inibitori», come spiega il giudice Petra Giunti del tribunale per i minorenni dell’Aquila sull’ordinanza di misure cautelari.

Dopo l’aggressione con rapina, lo studente ha chiesto aiuto suonando il citofono della prima casa che si è trovato davanti: a chi gli ha risposto, ha detto il suo nome, ha raccontato di essere stato rapinato da un gruppo di ragazzi e poi abbandonato. Per fortuna, è stato soccorso dal residente: «L’ho visto visibilmente scosso e con l’intimo in mano», dice il testimone ascoltato dalla polizia.

Lo studente non è l’unica vittima della prepotenza del branco: anche un albanese, sempre di 17 anni, si è trovato nella stessa macchina intorno alle 23 del 19 aprile scorso. «Stavo camminando a piedi in via Colle Renazzo per andare a casa di un amico», è il racconto alla polizia, «e sono stato avvicinato da una Multipla blu scuro con tre uomini e una donna che mi hanno offerto un passaggio. Ho accettato e mi sono seduto davanti, tra l’autista e un’altra persona. Poi, quando ho indicato il punto in cui fermarsi, loro mi hanno detto di stare zitto e mi hanno portato fino a una stradina sterrata e isolata». Dal cruscotto è spuntato un cacciavite: «La persona che mi stava accanto mi ha puntato il cacciavite alla gola e l’autista mi ha tirato pugni ordinandomi di dargli il portafogli e il cellulare. Mi diceva “se non mi dai soldi e il telefono non arrivi a 18 anni” e si vantava di avere una pistola. Uno è riuscito a prendermi il portafogli con 60 euro e io sono riuscito ad aprire la porta per scappare». Ma la fuga dell’albanese è durata poco: «Un ragazzo seduto dietro mi ha preso per il cappuccio del giubbotto e mi ha trattenuto».

Seduta dietro, nella Multipla, c’era la ragazza: «Non ricordo cosa abbia detto o fatto, ma non escludo che anche lei abbia contribuito a tenermi fermo mentre gli altri mi picchiavano». Fuori dalla macchina le botte non sono finite: «Quando sono riuscito a scendere dalla macchina l’autista mi ha seguito e picchiato con un tubo di ferro avvolto in un panno. Ho ancora i segni sul corpo e alle orecchie». È questo il «crescendo di violenza»: «La seconda rapina», spiega ancora il giudice Giunti sui documenti d’indagine, «è stata commessa con un vero e proprio pestaggio della persona offesa, prima minacciata con un cacciavite puntato alla gola e poi addirittura inseguita e picchiata ripetutamente con un tubo di ferro».

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