Pescara: padre si dà fuoco con la figlia, la madre è gravissima. Un anno fa la denuncia: ci picchiava con la cinghia / Video

28 Aprile 2014

Ena Pietrangelo, la donna che ieri ha inutilmente tentato di salvare la figlioletta morta nel rogo dell’auto appiccato dal papà, ha ustioni nel 45 per cento del corpo ed sempre in prognosi riservata. Il tutto mentre emerge una storia di violenze e soprusi denunciata già un anno fa e che ha portato a un’inutile condanna

PESCARA. È ancora in prognosi riservata, con ustioni sul 45 per cento del corpo, Ena Pietrangelo, la donna che ieri ha inutilmente tentato di salvare la figlioletta morta nel rogo dell’auto appiccato dal papà della bimba. Gli uomini della Squadra mobile locale, diretti da Pierfrancesco Muriana, attendono di sentire la donna, ricoverata nella capitale: la sua testimonianza è fondamentale per ricostruire quanto accaduto ieri pomeriggio in via Lago di Chiusi, quando Gianfranco Di Zio ha incontrato la sua ex compagna e la piccola Neyda per poi dare fuoco a se stesso e alla piccola. Padre e figlia sono morti carbonizzati nella Peugeot blu, dove erano seduti sul sedile posteriore, dopo che Di Zio si è cosparso di benzina, mentre Ena è riuscita a salvarsi.

INFO

L’uomo, che in passato era stato denunciato dalla sua convivente per maltrattamenti in famiglia, e poi è stato prima allontanato da casa e quindi condannato, poteva vedere Neyda (che aveva compiuto 5 anni il 24 aprile) solo un’ora a settimana alla presenza delle operatrici sociali del Comune, come stabilito dal Tribunale dei minori. Sembra però che Pietrangelo consentisse a Di Zio di avere rapporti con la piccola anche fuori da questi incontri protetti. Ieri, a quanto pare, Pietrangelo e la bimba sono arrivate a Pescara con la Peugeot in uso alla donna per andare a fare visita alla madre di Di Zio ma non sembra che ci fosse anche l’uomo, che quindi sarebbe comparso solo in un secondo momento.

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L’inutile denuncia della donna contro il compagno. Oggi la mobile consegnerà una prima informativa al pm Andrea Papalia, poi sarà conferito l’incarico per l’autopsia. La donna ha altre tre figlie, la più grande di 20 anni, le altre minorenni, avute da un precedente rapporto. Ma più si scava sulla storia, più sembra emergere una realtà fatta di violenza quotidiana perpetrata da Di Zio nei confronti della compagna e della piccola Neyda. E a nulla è servita la condanna ad un anno di reclusione scaturita dalla denuncia di Ena denuncia.

“Non voleva che Neyda vedesse le sorelle”. «Nel 2008 dopo essermi separata da mio marito ho allacciato un rapporto di convivenza con Gianfranco Di Zio. Dalla nascita di Neyda la situazione ha iniziato a peggiorare dal momento che Gianfranco ha assunto atteggiamenti violenti nei confronti di tutti noi e in particolare riguardo alla mia persona e verso Neyda, assumendo verso quest’ultima un atteggiamento estremamente possessivo», si legge nel verbale del 5 aprile del 2013 con cui Ena Pietrangelo ha denunciato Di Zio nella caserma di Cepagatti. «Mi ha sempre imposto che Neyda non mantenesse alcun tipo di contatto con le sorelle tanto che le stesse, quando lui è in casa, si rinchiudono nella loro cameretta e lo stesso avviene per Neyda quando le altre sorelle circolano per la casa. Addirittura non accetta che la bambina mangi con sorelle e pretende che il suo cibo venga custodito e cucinato a parte». La testimonianza, pubblicata sul quotidiano la Repubblica oggi in edicola, prosegue: «Oltre a continue minacce ed ingiurie sono stata più volte picchiata. L’ultima volta che ho subito maltrattamenti fisici da Gianfranco è stato il 25 febbraio del 2013 quando lamentando il fatto che ero rientrata in ritardo di cinque minuti, dopo essere stata a casa di mia madre, mi ha colpito violentemente con una gomitata al fianco. Dal forte dolore sono caduta a terra e benché gli imploravo aiuto lui ha continuato a prendermi a calci. Mentre mi picchiava mi diceva: sei un’attrice. Una volta in ospedale mi è stata diagnosticata frattura alle costole. Quella sera, una volta rientrata a casa quando mi ha chiesto cosa avessi raccontato ai medici, ho risposto di aver detto di essere caduta».

“La picchiava spesso, anche con una cinta”. E la donna denunciò anche le violenze subite da Neyda: «Vittime delle sue violenze e prevaricazioni sono anche le mie figlie e in particolare la piccola Neyda che più volte è stata picchiata non solo con schiaffi ma anche con la cinta dei pantaloni e con il rotolo interno della carta in alluminio. Uno degli ultimi episodi violenti è avvenuto lo scorso mese di marzo, a seguito del quale la bambina per un forte schiaffo ricevuto riportava un ematoma all’occhio sinistro. Se ne sono accorte anche le maestre della scuola materna comunale di Cepagatti e quando la bimba riportava segni di violenza lui pretendeva il giorno che la bimba andasse all’asilo privato (Mary Poppins). Solo in questi giorni ho avuto il coraggio di denunciare quanto sta accadendo perché temo possa peggiorare. Ho paura per la mia incolumità e per quella delle mie figlie. Mi sono rivolta sia al centro antiviolenza di Pescara che ai servizi sociali del Comune di Cepagatti».

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