in tribunale

Pescara, processo Rifiutopoli: «Non c’è prova della corruzione»

Nelle motivazioni della sentenza la fragilità dell’accusa sui contributi elettorali e sul progetto dell’inceneritore

PESCARA. «I profili di illiceità messi in evidenza dall'accusa non reggono alle risultanze istruttorie». Un concetto chiaro e conciso che il giudice Rossana Villani, estensore delle motivazioni della sentenza sulla cosiddetta “Rifiutopoli abruzzese”, ribadisce a più riprese per spiegare in una cinquantina di pagine perché l'ex assessore regionale alla Sanità, Lanfranco Venturoni, l'imprenditore Rodolfo Di Zio, il deputato di Forza Italia, Fabrizio Di Stefano, l'imprenditore Ferdinando Ettore Di Zio e l'ex amministratore delegato della società Team Teramo Ambiente Vittorio Cardarella, sono stati assolti tre mesi fa dal tribunale collegiale, presieduto da Angelo Zaccagnini.

Il procedimento, costato gli arresti domiciliari all'ex assessore e a Rodolfo Di Zio, ruotava attorno alla realizzazione dell'impianto di bioessiccazione a Teramo e il cuore dell'inchiesta dei pm Anna Rita Mantini e Gennaro Varone era quello che la procura aveva definito «un piano di svuotamento della società Team» che sarebbe stato messo in atto, «per far ottenere alla Deco, senza il ricorso al metodo dell’evidenza pubblica, l’affidamento dell'appalto per la costruzione e la gestione di un impianto di bioessiccazione».

In riferimento a tale aspetto, scrive, tra le altre cose, il collegio, «si può fondatamente ritenere che gli elementi di carattere sospetto costituiti dalle mail e dal contenuto delle intercettazioni, non sono sufficienti ai fini della configurabilità del reato contestato, pur disvelando le mire “espansionistiche” di Deco/Rodolfo Di Zio».

Il tribunale poi affronta il capitolo dei finanziamenti di Di Zio al partito cui apparteneva Venturoni e afferma senza alcun dubbio: «Dal complessivo quadro delle risultanze istruttorie, non emerge la prova di versamenti irregolari, né di contribuzioni elettorali che risultino con ragionevole certezza contropartita di accordi di natura corruttiva».

Giudizio perentorio anche sulle presunte pressioni che, in cambio di contributi elettorali, sarebbero state esercitate da Di Stefano, all'epoca senatore, per esautorare Riccardo La Morgia dalla presidenza del consorzio rifiuti Lanciano e per ottenere, tramite legge regionale, le condizioni normative che consentissero la costruzione di un inceneritore: «Se di pressioni si può parlare, esse non sembrano idonee a configurare oggetto di scambio corruttivo».

«In ogni caso», si legge nelle motivazioni, «lo scambio corruttivo formulato nel capo di imputazione non è lineare e plausibile, in quanto non era nei poteri di Di Stefano incidere sulla modifica della legge regionale», di esclusiva competenza del Consiglio regionale. Giudizio analogo per la questione La Morgia: «Le complessive risultanze istruttorie sono tali da non rendere condivisibile la ricostruzione del pm».

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