POLITICI LATITANTI, LEADER CONDANNATI E NUOVI POPULISTI

Per un Berlusconi ai servizi sociali, ecco un Dell’Utri latitante. E poi dicono che nessuno rispetta la “par condicio”. Che poi assomiglia tanto al vecchio adagio: oggi a me, domani a te. Così mentre il pregiudicato di Arcore sembra destinato a occuparsi una volta alla settimana di vecchietti disagiati suoi coetanei, l’ex senatore forzista - già condannato in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa - è sfuggito alla giustizia nascondendosi in Libano, il Paese dei cedri. Sotto l’occhio distratto di Angelino Alfano, il delfino senza quid deciso a nuotare da solo. Sia detto a beneficio dei distratti: Alfano è ancora ministro dell’Interno, dunque responsabile della cattura (in questo caso fuga) dei latitanti. Ma tranquilli, non accadrà nulla. Resterà saldamente alla guida del Viminale in vista della campagna elettorale per il Parlamento europeo. Un voto tanto importante quanto surreale. Si dice Europa, si pensa all’Italia.

Con i tre capi dei partiti più grandi neppure in lista. I sondaggi concordano nell’indicare il declino di Forza Italia, sorpassata dal Movimento 5 Stelle. Per Beppe Grillo il disastro berlusconiano è un’occasione da prendere al volo; conta di rastrellare altri voti in libera uscita in quell’elettorato allevato da Berlusconi e Bossi nella nostalgia della lira e della svalutazione facile. Contro l’Europa il comico ha organizzato uno spettacolo in tour per lo Stivale: caso unico in cui si paga biglietto per sentir parlare (male) di politica. Ha già detto che se arriva primo, manderà a casa il governo. Ma sono nervosi i Cinquestelle. Si capisce che lo sono dall’attenzione riservata alla tv. Proprio loro che se ne sono fatti sempre beffa. Ora si appellano alla “par condicio”, la legge nata inutilmente per arginare lo strapotere berlusconiano che impone - sulla carta - la garanzia di uguale presenza sugli schermi delle varie forze politiche durante la campagna elettorale. Appena un anno fa Grillo ha incassato il 25 per cento dei voti bastonando le televisioni in nome della “democrazia della rete”.

Ora i suoi parlamentari accusano la Rai, dati alla mano, di favorire il presenzialismo dilagante di Renzi. Il capo del governo, capo anche del Pd, ha ribaltato i canoni comunicativi della sinistra: in tv ci va non per predicare ma per affermare un’idea diversa della politica e dell’Italia. Finora sembra vincente. Quando si rivolge a milioni di lavoratori dipendenti a basso reddito prospettandogli gli ormai famosi 80 euro in più in busta paga, mentre bacchetta i boiardi di Stato per i lauti stipendi o la burocrazia asfissiante, Renzi cementa un blocco sociale intorno al suo governo e al suo partito. Riscopre cioè attraverso la comunicazione politica la funzione egemone di un progetto politico. Certo, per ora siamo solo agli annunci. In attesa dei fatti. Ma la storia recente ci insegna che l’effetto annuncio ha enorme influenza sulle urne. Senza un buon risultato il prossimo 25 maggio, il premier infatti risulterebbe azzoppato in Italia e in Europa. Grillo farà di tutto per sottrargli voti, nonostante abbia trovato in lui un concorrente inaspettato. All’antipolitica degli arrabbiati il Gianburrasca di Firenze contrappone una antipolitica “responsabile”.

Sembra un paradosso, ma la sfida elettorale si gioca sul populismo, terreno arato in passato proprio dal berlusconismo e dal leghismo e ora dilagante. Un anno di permanenza in Parlamento di deputati e senatori grillini non ha prodotto grandi innovazioni ma solo molte epurazioni. Tuttavia la rabbia sociale e la disillusione per la democrazia parlamentare hanno radici profonde. Vedremo nelle prossime sei settimane fuochi d’artificio. Dopo 20 anni Berlusconi non sarà candidato. Finalmente. Ma le macerie restano tutte davanti a noi.

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