Porto, peschereccio incagliato nel fango

Mancato dragaggio, barca si ferma in una secca. La rabbia dei pescatori: siamo in ginocchio ma nessuno interviene
PESCARA. «Noi pescatori siamo più sicuri in mare aperto a forza 8 che dentro il porto che è ridotto a una vasca da bagno. Quando ci siamo incagliati nel fondale, la barca si è alzata e, con l’elica immersa nel fango e nella sabbia, ha cominciato a galoppare come un cavallo». Lucio Di Giovanni, armatore del Maria Teresa, peschereccio di 30 metri, parla così dopo 2 ore e mezza passate a uscire da una secca del porto perduto.
Sono le 9 di ieri quando la barca con 3,50 metri di pescaggio imbocca l’ingresso del porto per rientrare dopo una notte passata al largo per ritrovare attrezzature da pesca andate perse dopo l’ultima battuta prima del fermo biologico, cominciato il 9 luglio scorso: «Siamo usciti con il permesso della Capitaneria di porto», racconta il capitano Franco Di Giovanni, fratello di Lucio, «e appena tornati siamo rimasti bloccati per il mancato dragaggio. Pensare che siamo usciti senza reti, senza divergenti e senza le altre attrezzature da pesca: significa che, quando siamo a pieno carico, la barca si abbassa di almeno altri 20 centimetri».
L’ultima volta che il porto è stato dragato risale al 2007: in 5 anni di lavori promessi, annunciati ma mai fatti, oggi il fondale non arriva più neanche a 2 metri e mezzo. Da 17 mesi, il porto è nel degrado: sono andati persi 74 posti di lavoro e bruciato un giro d’affari di 1,8 milioni di euro. L’ultima petroliera è approdata a maggio 2011, l’ultima nave commerciale a luglio 2011, il collegamento del Pescara jet con la Croazia, dopo essere stato dirottato in extremis su Ortona nell’agosto dell’anno scorso, è stato cancellato.
Con il Maria Teresa incagliato, cominciano i soccorsi: a tirare il peschereccio fuori dalla secca è una vongolara, la Black Dart. Dopo 2 ore e mezza di manovre, con la guardia costiera che sorveglia l’operazione dalla banchina e via mare, l’imbarcazione riesce ad attraccare ed è l’ora della rabbia dei pescatori: «Nessuno si prende le responsabilità per il degrado del porto», protesta l’armatore, «e a rimetterci è l’economia della città, dai venditori di pesce fino al settore del turismo passando per le imprese. Noi siamo rovinati e ci tocca pagare anche i danni provocati dal porto insabbiato e con il fango: tanto per fare un esempio», dice Di Giovanni, «ogni anno aggiustare le eliche che raspano nel fondale può costare fino a 20 mila euro. Così, nel nostro lavoro non c’è più guadagno. E il peggio è che all’orizzonte non si vede una soluzione all’emergenza: il porto significa rifugio, invece, a Pescara è una trappola». Di Giovanni, poi, indica un sostegno d’acciaio del Maria Teresa: è piegato. «Questo è un danno provocato dal mancato dragaggio», assicura.
Secondo la marineria, però, la soluzione è a portata di mano: «Serve la draga fissa», avverte Di Giovanni mentre i lavori, già costati 4,5 milioni di euro, sono bloccati e sotto la lente d’ingrandimento della procura distrettuale Antimafia dell’Aquila, «il porto va pulito una volta all’anno».
Con la barca in banchina, i fratelli Di Giovanni non possono stare neanche tranquilli: «Per domenica», spiegano Lucio e Franco, «è previsto maltempo e stare ormeggiati in banchina, in questo tratto, è pericoloso. Fare manovre improvvise per evitare danni su danni è troppo rischioso». «Il nostro porto», conclude l’armatore, «sarebbe il migliore d’Italia se non fosse per quel dettaglio del fondale».
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