Poveri e senza tetto le vittime di crisi e freddo

Da Pescara a Teramo le storie esemplari: "E' arrivato l'euro e ci hanno messo tutti davanti alla tv. Avevo una famiglia, un conto in banca. Non mi è rimasto nulla e sono scivolato in strada"

C’è il Papa che mette a disposizione le auto del Vaticano come ricovero; il parroco che raccoglie scaldini e lancia appelli su facebook per termocoperte e scaldamani; l’Unitalsi che moltiplica la distribuzione di pasti caldi, i comuni che aprono le porte per la notte o mettono a disposizione camere d’albergo, come a Pescara. O strutture convenzionate come a Teramo e Avezzano. Quando il freddo si fa più rigido i senzatetto smettono di essere invisibili e diventano un problema da risolvere, o un’emergenza da affrontare. Ma chi sono queste persone? Perché vivono abbandonate in strada? Che cosa possono raccontare? Hanno una famiglia che li sta cercando? E coltivano ancora sogni o speranze? Certamente non sono più i barboni di una volta. Molti sono stranieri, tantissimi sono giovani, alcuni sono lavoratori con un licenziamento alle spalle o una storia di separazione coniugale. Altri sono figli della crisi e della precarietà, come spiega di lato l’economista Giuseppe Mauro. Poveri della porta accanto di cui raccontiamo in queste pagine alcune storie.

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«Io sono autista e manovale», «Io sono un carpentiere specializzato». Lo sguardo finalmente si accende e il tono di voce prende vigore, ma è solo un attimo. Poi Ovidio e Angelo ripiombano nella cupezza e nell’isolamento che la vita in strada sembra aver loro impresso nella carne. Un attimo sufficiente a trasmettere l’orgoglio, la dignità, il senso di identità che il lavoro sa dare, anche solo nel ricordo, e che la disoccupazione invece divora.
Ovidio e Angelo sono due gentili signori ospiti del Comune di Pescara all’hotel Holiday, messo a disposizione, con altre strutture ricettive del capoluogo adriatico, dei senza tetto in questi giorni di neve e gelo. Sono 150 dei 200 senza fissa dimora che abitano la città, sono seguiti dai magnifici volontari della Caritas nelle loro poche esigenze, i 50 che mancano all’appello hanno rifiutato ogni forma di aiuto: affetti da disturbi psichici, dipendenza da alcol o droga hanno “scelto” di restare dei fantasmi nella comunità, continuare ad arrangiarsi in capannoni abbandonati e rifugi di fortuna sfidando il grande freddo. Anche Ovidio non sembra aver voglia di condividere spazi e parole «con il mondo esterno», dice. Ma il suo stato di salute non gli consente sfide. Lui è romeno, ha 56 anni, e da quando ne aveva meno di 30 vive a Pescara. «Ci sono venuto come turista la prima volta», ci tiene a specificare, «stavo da mia sorella e volevo vedere come si stava qui». Non male a quei tempi. Tanto che trovò un lavoro «come autista e manovale» per una ditta locale con cui è rimasto molti anni. Sposato, con tre figli, due femmine che vivono a Torino e un maschio «pescarese» che oggi cerca di stargli vicino il più possibile, Ovidio aveva una casa ai Colli e tutto era «normale». Poi la crisi. «La ditta ha chiuso, ho dovuto vendere la macchina, anche perché ho cominciato a non vederci più». Un problema alla vista invalidante che potrebbe garantirgli una pensione, lui ci spera «giusto un po’» osserva stringendosi nelle spalle mentre tira fuori dal portafogli documenti ingialliti che attestano il suo stato di salute.
Ma che disturbo ha? Cosa le fa male? «La vita mi fa male», sussurra senza alzare lo sguardo da terra. Disoccupazione e problemi conseguenti hanno minato il rapporto con la moglie e lui è andato via di casa. Sono 2 anni che non lavora più «e non lo cerco neanche più, un lavoro, ma non vado nelle case abbandonate e non chiedo l’elemosina». E come fa a vivere? «Mio figlio mi aiuta. E qualche amico della ditta». Cosa spera? Cosa vorrebbe? «Una casa la vorrei, ma da solo. Mi basta stare da solo. Io giro sempre da solo, non mi servono i furbi che si avvicinano, non voglio nessuno con me».
Angelo invece è italiano, pugliese di Barletta, 47 anni, divorziato, 2 figli, un maschio e una femmina, e da poco un nipotino. È in strada da «qualche anno», afferma vago guardando il pavimento. E prima? Prima una vita di lavoro e speranze come tante: «Ho lavorato per 25 anni in giro per l’Italia. Io sono carpentiere specializzato e mi chiamavano dalla Valle d’Aosta alla Calabria». E poi cosa è accaduto? «Poi è arrivato l’euro e ci hanno messo tutti davanti alla tv», risponde più avvilito che arrabbiato, «a fare niente». E a lasciare spazio alla depressione. «Così mia moglie un giorno mi ha detto che non mi amava più. Avevo comprato la casa e ci ho lasciato i figli che erano minorenni, non c’era bisogno neanche che lo dicesse il giudice. Solo che non mi va giù che mia moglie ci porti un altro. Avevo tre macchine, un conto in banca condiviso con lei. Non mi è rimasto nulla».
Cosa ha fatto allora? «Non lo so, sono scivolato nel niente. Una botta. Ho cercato di riprendermi, sono andato in Calabria a lavorare, mi sono ricostruito una casa da solo, ma poi hanno cominciato a farti lavorare e a non pagare. Sono venuto a Pescara, e ci sono rimasto 2 anni, poi in Veneto, altri 2 anni e mezzo, poi ho avuto un incidente: 3 giorni in coma e 3 mesi fermo. Ora ho delle placche in una gamba, è gonfia, me le devono togliere ma qui dicono che non sono residente e non mi possono operare». Come è possibile? «È così, vuole che le mostri le radiografie? Ora forse c’è un ortopedico che mi opera tra qualche mese». Intanto? «Ora sto qui, altrimenti sto in strada e alle 4 vado a scaricare le cassette di pesce al porto, ma non basta per prendere una casa. Stringo i denti, lo scriva che non mollo altrimenti mia figlia si preoccupa. E non chiedo soldi a nessuno».
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