Processo bis ai Ciarelli, la difesa vuole in aula l’amico di Rigante

22 Gennaio 2015

Corte d’Assise d’appello blindata per l’udienza di secondo grado che comincia all’Aquila. La difesa, senza Taormina, chiederà di acquisire la lettera inviata al Centro da Mimmo Nobile

PESCARA. «Abbiamo chiesto di risentire Cosimo Nobile». Rischia di allungarsi il processo bis per l’omicidio di Domenico Rigante in programma oggi all’Aquila, in una Corte d’Assise d’appello blindatissima (con divieti di parcheggio e di transito nella zona), dopo le tensioni che accompagnarono la lettura della sentenza di primo grado lo scorso 3 febbraio a Pescara. L’avvocato Franco Metta, difensore di Massimo Ciarelli, il presunto killer condannato a 30 anni in primo grado per l’omicidio volontario dell’ultrà biancazzurro il primo maggio del 2012, alla vigilia del secondo grado ribadisce quanto sostenuto dall’inizio e, forte della lettera inviata al quotidiano il Centro da Nobile, testimone di quell’omicidio e amico fraterno della vittima, chiede al giudice della Corte d’Assise d’appello di acquisire agli atti quel documento.

L’obiettivo, considerando il contenuto della lettera in cui Nobile oggi parla di «disgrazia», sottolineando che «non c’era la volontà di uccidere Domenico», è quello di dimostrare quanto sostenuto sin dall’inizio dalla difesa: la sera del primo maggio di tre anni fa in via Polacchi si consumò un omicidio preterintenzionale, un evento che andò oltre le intenzioni di chi l’ha materialmente causato e dei suoi complici. Un reato punito con la reclusione da 10 a 18 anni.

Dunque, rimasto solo a difendere Massimo Ciarelli dopo «la rinunzia seguita alla sentenza di primo grado» di Carlo Taormina, come riferisce quest’ultimo al telefono mettendo a tacere i maligni che parlano invece di defenestrazione da parte dei rom, l’avvocato Metta e i difensori degli altri Ciarelli (Giancarlo De Marco per Domenico, Marco Di Giulio per Luigi insieme al legale di Termoli De Michele che segue anche i gemelli Angelo e Antonio Ciarelli) punteranno su questa tesi anche oggi per riuscire a derubricare il reato contestato e, con questo, anche le pene inflitte in primo grado ai cinque Ciarelli.

Vale a dire 30 anni per Massimo e 19 anni e 4 mesi per ognuno dei suoi familiari, tra cugini e nipote (Domenico) che quella sera lo accompagnarono nella spedizione puntiva ai danni dei gemelli Antonio e Domenico Rigante. Una spedizione punitiva che, come ricostruisce l’accusa, sulla base di quanto raccolto dalla squadra mobile di Pierfrancesco Muriana, spiegherebbe anche il movente di quell’omicidio, maturato dopo l’onta subìta la sera prima da Massimo Ciarelli in corso Manthonè dove il rom fu malmenato dal fratello di Domenico, Antonio Rigante, al punto da dirgli, come ricostrì l’accusa, «Io ti sparo in testa».

È proprio sulla volontà o meno di uccidere che oggi si gioca la partita finale tra accusa a difesa. Per l’accusa la volontà di Ciarelli è attestata dalle minacce di morte del giorno prima, dalla confidenza di Ciarelli alla fidanzata di essere stato oggetto di una grave offesa, dall’utilizzo da parte sua di un’arma potente, una calibro 38 e dai colpi esplosi ad altezza uomo già in piazza dei Grue prima dell’irruzione nell’appartamento al pianterreno di via Polacchi. Per la difesa, a dimostrazione che Ciarelli non voleva uccidere c’è la circostanza che in casa ha sparato una volta sola, che l’autopsia ha dimostrato che il proiettile è entrato nella parte sopragluteale per poi perforare l’intestino e infine c’è proprio la testimonianza di Nobile che agli inquirenti riferì quanto gli disse Ciarelli prima di fuggire: «Non l’ho ucciso solo perché ci sei tu».

- Domenico Rigante era un tifoso del club biancazzurro Rangers

Motivazioni già argomentate in primo grado e ritenute non sufficienti per ridimensionare il ruolo di Massimo Ciarelli e dei suoi complici per i quali oggi la difesa chiederà l’attenuante di aver partecipato a un’azione che si è conclusa con un evento che loro non volevano. I primi a parlare saranno il procuratore generale e la parte civile rappresentata dall’avvocato Ranieri Fiastra, legale della famiglia Rigante. Poi sarà la volta dei quattro difensori, ma appare quasi scontato che il collegio presieduto dal giudice Luigi Catelli deciderà di rinviare tutto a una seconda udienza.

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