Processo Rigopiano: «Belmaggio va assolto». E i difensori puntano il dito sulla politica regionale

L’accusa ha chiesto tre anni e 10 mesi per il dirigente della protezione civile. I legali: «Non aveva funzioni decisionali e ha agito sempre con diligenza»
PERUGIA. «Deve andare assolto con la formula piena» l'attuale dirigente regionale Sabatino Belmaggio, per il quale il procuratore generale della Corte d'Appello di Perugia, che sostiene l'accusa nell'appello bis per la tragedia di Rigopiano con i suoi 29 morti rimasti sotto le macerie dell'hotel (il 18 gennaio del 29017), aveva chiesto la condanna a 3 anni e 10 mesi. Una richiesta comune per tutti e sei gli imputati che ebbero un qualche ruolo nella Protezione civile regionale e che la Corte di Cassazione ha fatto tornare in primo piano, legando le loro presunte omissioni alla realizzazione della Carta pericolo valanghe che, se ci fosse stata, avrebbe potuto evitare la tragedia di Rigopiano.
I due legali dell'attuale dirigente, che all'epoca dei fatti era soltanto un semplice funzionario, hanno anche sottolineato (in particolare l’avvocato Leonardo Casciere) come il decreto di archiviazione disposto dal gip di Pescara relativo ai politici inizialmente coinvolti nel procedimento, sia stata «una decisione gravissima», lasciando intendere che eventuali responsabilità andavano ricercate in altri ambiti. E sempre Casciere ha evidenziato il fatto che «non risulta che il Coreneva abbia mai predisposto linee guida (in relazione alla Clpv) e invece si chiede ora a un semplice funzionario di fare quello che dirigenti, direttori e politici non hanno mai pensato».
Il collega Mauro Catenacci ha richiamato invece i contenuti delle informative degli investigatori dell'epoca che definirono la posizione di Belmaggio di «adeguata diligenza», tanto che il funzionario venne assolto nei primi due gradi di giudizio. «Abbiamo a che fare», aggiunge Catenacci, «con una persona che nell'organigramma della Protezione civile non aveva funzioni decisionali e quello che ha fatto lo ha fatto con grande diligenza». I due legali hanno «contestato», in definitiva, che il procuratore generale nella sua arringa non abbia operato quella differenziazione di posizioni così come aveva indicato la Suprema Corte, tracciando una linea uguale per tutti e sei gli imputati. Ma così, sottolineano, non è mai stato, soprattutto per Belmaggio al quale è sempre stato riconosciuto un impegno totale anche quando era addetto a un servizio diverso dalla Protezione civile. «Se per i funzionari del servizio Protezione civile», ha sostenuto la difesa, «la violazione della cautela», a sua volta fondante una responsabilità a titolo di colpa per il tragico evento d Rigopiano, risiede «nel non aver provveduto alla redazione della Clpv, così come testualmente si legge nella sentenza di rinvio, allora detta violazione non può in ogni caso co-imputarsi a Belmaggio, né in termini oggettivi, non avendo mai ricoperto ruoli apicali comportanti a loro volta poteri dispositivi e di spesa in ordine agli stati di avanzamento della Clpv, né in termini soggettivi, avendo egli assolto a detti compiti con comprovata, assoluta diligenza e tempestività».
L’intervento dei difensori dell’ex responsabile della Viabilità della Provincia Mauro Di Blasio (l'accusa ha chiesto la conferma della condanna a 3 anni e 4 mesi, sostenendo che il reato di omicidio colposo plurimo non è affatto prescritto) si è incentrato in particolare sulle attività svolte dall'imputato per rendere quel tratto di strada che portava all'hotel perfettamente percorribile, almeno fino alla sera del 17 gennaio, e sulla tanto contestata turbina fuori uso e non sostituita. Chiedendo pertanto l’assoluzione.
«La Suprema Corte», hanno spiegato i difensori Pelliccia e Morcella, «ha ritenuto che la violazione della cautela andava individuata nel non aver provveduto alla destinazione di una turbina al tratto di strada incriminato a partire dal momento in cui l'Unimog non era più operativo per un guasto meccanico. Il giudice di legittimità ha però omesso di interrogarsi sulle reali possibilità impeditive degli imputati Di Blasio e D’Incecco (suo dirigente all'epoca ndr), sui tempi di spostamento delle turbine, sulle tempistiche di riparazione dell'Unimog e sulla operatività e collocazione dei mezzi sgombraneve a disposizione della Provincia nell'area territoriale di riferimento». E qui vengono ribadite le deficitarie dotazioni di organico e finanziarie a disposizione dell’Ente che, secondo la difesa, hanno avuto un peso enorme per comprendere come la Provincia era costretta a muoversi in quelle condizioni, non tralasciando di richiamare quanto stava accadendo in quei giorni in tutto il territorio dove c'erano interi paesi isolati e in condizioni critiche. E comunque per la difesa resta il fatto che il mezzo Unimog «sarebbe stato riparato e di nuovo operativo non prima del 27 gennaio 2017», e quindi dopo il disastro, a causa dei pezzi di ricambio che necessitavano. E la difesa conclude sostenendo che «non vi è alcun nesso di causalità tra l’evento e la mancata pulizia del segmento stradale conducente all’hotel».
Il 18 dicembre è prevista l'ultima udienza dove parleranno i difensori del dirigente regionale Pierluigi Caputi, dell'ex sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e del tecnico comunale Enrico Colangeli. Poi verrà fissata la data per le repliche e la sentenza, attesa dopo le feste.

