Quando il filosofo Benedetto Croce era di casa ad Arcore

Foto dei primi anni ’20 svela l’amicizia col marchese Casati Uno studio personale nell’attuale dimora di Berlusconi

La foto viene da villa San Martino di Arcore, un tempo residenza dei marchesi Casati, oggi residenza dell'ex premier Silvio Berlusconi: e non residenza come tante sue altre. Residenza topica. Giardino di delizie e hortus conclusus della sua vita privata e forse anche politica. Crogiuolo d'incontri e d'intrecci. Depéndance distaccata del palazzo e delle crisi di palazzo d'Italia. Sede di cene (anche agl'improvvidi rottamatori del Pd, fulminati dai blogger per aver accettato l'invito). Sontuosa dimora circondata dal commento e dalla commiserazione, dall'invidia e dall'invettiva: per il suo controverso acquisto dai Casati nel '74 tramite Cesare Previti; per l'acquisizione di personale addetto alle stalle; per l'attività del curatore della biblioteca; per le attività notturne degli ormai celeberrimi burlesque di Berlusq. Ma questa, che si vede nella foto, è l'altra vita di un'altra villa: con un importante "pezzo" tutto abruzzese: Benedetto Croce.

Vi compare a sinistra, accanto al marchesino Alfonso tenuto per mano da lui e, a destra, dal padre, il marchese Alessandro. Vari volumi riportano acriticamente un riferimento sbagliato circa la sua datazione: "foto degli anni '30", vi si legge. Errore: è dei primi anni '20, lo prova l'età del marchesino, nato nel 1918 e che non dimostra più di 4-5 anni. Il piccolo, figlio unico di Alessandro Casati e di Leopolda Incisa della Rocchetta, avrà una breve, tragica esistenza: morirà in guerra a 26 anni, nel '44, guidando eroicamente contro i tedeschi il suo plotone per la liberazione di Corinaldo. Nei decenni successivi il cognome dei Casati rimasti senza discendenza - esponenti brianzoli del più colto illuminismo, poi della cultura risorgimentale e infine della cultura unitaria italiana, tanto monarchica quanto repubblicana (Alessandro Casati sarà ministro prima e dopo il ventennio fascista) - s'intorbidirà, legandosi allo scandalo sessuale finito con un doppio omicidio e col suicidio dell'erede, anche se non per via diretta, di tali magnanimi lombi; lo scandalo che andrà sotto il nome di Casati Stampa terrà banco nella cronaca nera e giudiziaria degli anni '70, associato alla grande ricchezza e al gran nome della famiglia, eclissandone i riferimenti culturali, ideali, patriottici.

Nessuna delle brutture di poi si presagisce, tuttavia, in questa foto, dove la villa di Arcore è ancora cenacolo d'intellettuali. Croce vi era di casa, gli avevano messo anche a disposizione uno studio per lavorare; usava trascorrervi periodi più o meno lunghi, soprattutto in estate, da solo o coi familiari. Nella foto, il filosofo e il marchese tengono entrambi una sigaretta tra le labbra. Sono straordinariamente ineleganti, come li dipingevano gli altri abituali frequentatori di Arcore. Scrive uno di loro, Piero Gadda Conti: «i nodi della cravatta e quelli delle scarpe paiono sempre allacciati in gran fretta». Croce sembra un don Ciccio di siloniana memoria, i cui bottoni della giacca invano tenderebbero alle asole, per non parlare dei pantaloni spiegazzati.

Casati ha una giacca tagliata dal peggior sarto del mondo, stretta di spalle, sbeccante in petto, sbuffante sui fianchi: recuperata alla Caritas, si direbbe oggi, e che invece stava addosso a uno degli uomini più ricchi d'Italia; negli anni '70, ai tempi dello scandalo, il patrimonio familiare dei Casati Stampa era ancora stimato attorno ai 400 miliardi di lire; il solo palazzo di via Soncino a Milano, semidistrutto da un bombardamento alleato nel '43, con 28.000 volumi polverizzati, era una delle prime dimore della città. Eppure intorno al grande pensatore abruzzese-partenopeo e al marchese aleggia una dimessa aura da favola. Forse dipende allo sguardo diretto, indomito, ruvido di Croce; cui fa da contraltare quello pensoso, quasi mistico, del barbuto "pope ortodosso" Casati. Sguardo severo per entrambi, ma - dicevano i frequentatori di Arcore - tutt'altro che noioso: «Don Benedetto era una sorgente inesauribile di aneddoti: ne possedeva un repertorio che spaziava attraverso tutte le letterature e tutti i secoli e non amava, nelle conversazioni a passi lenti o sulle panchine di Arcore, affrontare i massimi problemi, quanto piuttosto le minime debolezze degli uomini»

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