Quel giorno a Bologna era in prima fila

Gilberto, il combattente di Sulmona e la foto diventata il simbolo della brigata abruzzese
PESCARA. È l’immagine simbolo della Brigata Maiella. Venne scattata all’alba del 21 aprile 1945. E Gilberto Malvestuto, il partigiano di Sulmona che oggi ha 101 anni, era in prima fila mentre la brigata partigiana abruzzese liberava Bologna. Fu la prima a entrare in città. E oggi, 25 aprile, 77° anniversario della Liberazione, Francescopaolo Bruni, avvocato originario di Torricella Peligna, ci aiuta a ricostruire quel giorno epocale. «Nicola Troilo», esordisce Bruni, «nella sua “Storia della Brigata Maiella” (casa editrice Mursia con prefazione di Ferruccio Parri) ricorda che gli uomini della “Maiella”, dopo aver tanto combattuto, stavano quasi per essere “beffati” dai “commilitoni” polacchi e, a pagina189, così descrive l’episodio: «Reparti celeri polacchi, montati su autoblinde, sfruttarono il successo così rapidamente ottenuto dalla Compagnia (la Prima) oltrepassando gli uomini della Maiella che marciavano a piedi bloccandoli a due chilometri da Bologna con l’evidente proposito di entrare per primi nella città. L’inqualificabile sopruso non fu peraltro tollerato dal sottotenente Laudadio il quale si aprì con la minaccia delle armi il passo tra i carri armati polacchi entrando in Bologna assieme alla IV Compagnia e al reparto della Pesante tra le primissime truppe liberatrici e primi tra gli italiani. Entusiastiche accoglienze furono tributate agli uomini della Maiella dalla popolazione civile che, durante i lunghi mesi dell’oppressione, aveva appreso dalle radio clandestine e dalla stessa radio della Repubblica di Salò l’esistenza di questo reparto di patrioti italiani. Immediatamente riconosciuti, i patrioti furono abbracciati e festeggiati; scene d’incredibile commozione e di altissimo entusiasmo caratterizzarono tutta quella radiosa giornata».
Nicola Troilo, avvocato, figlio di Ettore, comandante della Brigata Maiella, è morto a Lanciano il 22 agosto 2017. Aveva 14 anni quando il suo paese, Torricella Peligna, fu distrutto. E lui, nel lungo inverno del ’43, portava messaggi per mettere in contatto gli uomini che decisero di armarsi contro i nazi-fascisti. (u.c.)