Quel segno sulla tomba di Celestino

13 Febbraio 2013

 

Ha ribaltato un potere millenario. Rinunciando al seggio di Pietro, Papa Benedetto XVI compie un atto rivoluzionario. Una rivoluzione, però, che non rientra nelle categorie del linguaggio politico. Terreno. Una rivoluzione comprensibile solo se ci si sofferma sull’insegnamento evangelico.

Ratzinger abdicando rinuncia a un potere senza pari, spirituale e temporale al tempo stesso. Chi più del Papa? E dunque, se il vicario di Cristo in terra si umilia ammettendo la sua umana debolezza, la sofferenza di fronte agli anni che avanzano impietosi (“ingravescentem aetatem” ha detto nella solennità della lingua latina), la sua incapacità (“incapacitatem meam”), tutta la gerarchia di Santa Romana Chiesa è chiamata a umiliarsi. Eventualmente a farsi da parte. Se addirittura il Papa si dimette, perché mai dovrebbero essere considerate intoccabili le posizioni di cardinali, vescovi, prefetti e amministratori dei beni ecclesiastici? Liberamente Joseph Ratzinger si priva del privilegio; chi può sentirsi immune?

“La tentazione del potere è la più diabolica che possa essere tesa all’uomo, se Satana osò proporla perfino a Cristo. Con lui non riuscì, ma riesce con i suoi vicari. E’ una tentazione più perfida di quella dei sensi. Infatti vi soccombono anche molti uomini casti”. Così parla Celestino V, il pontefice del “gran rifiuto”, secondo la ricostruzione teatrale di Ignazio Silone in “L’avventura di un povero cristiano”. La seduzione del potere, dunque, simbolo eterno per i cristiani di un dilemma irrisolto: essere nel mondo, senza essere del mondo.

Al Papa medioevale che regnò appena cinque mesi il teologo Ratzinger è legato da una serie di segni. Personaggio semplice e complesso al tempo stesso, Pietro del Morrone quando viene eletto nel luglio del 1294 è già considerato un sant’uomo, eremita negli anfratti della Maiella in Abruzzo. Viene scelto da una conclave dominato dalle fazioni avverse degli Orsini e dei Colonna dopo ben 27 mesi di inconcludenti trattative, risse, tumulti. Una chiesa senza più Dio. Ma, per dirla ancora con Silone, fortunatamente Cristo è più grande della chiesa. Celestino V si spoglierà dei paramenti il 13 dicembre 1294, senza aver mai messo piede a Roma e morirà prigioniero del suo successore, Bonifacio VIII, in un’abbazia nel Lazio. A lui risale il canone che introduce nel diritto della Chiesa la facoltà di abdicare liberamente. Principio cui si è ispirato Ratzinger. Che da sommo pontefice ha riabilitato la figura e la storia dell’umile eremita.

Pochi giorni dopo il terremoto dell’Aquila, il 28 aprile 2009, Papa Benedetto visitò la città distrutta e volle recarsi in pellegrinaggio nella basilica di Collemaggio, sventrata dal sisma, dove sono custodite le spoglie di Celestino. Doveva restare sul sagrato, ma a sorpresa, sfidando il pericolo incombente, entrò nella chiesa pericolante e donò il suo pallio, la preziosa sciarpa di lana ricevuta il giorno dell’incoronazione. Mai nessun altro pontefice aveva compiuto un atto simile, né probabilmente fu un gesto d’impulso. Ma meditato. Infatti l’anno dopo, . Benedetto ritornò nei luoghi celestiniani dopo aver pubblicato l’ultima enciclica in cui si afferma: la dottrina sociale cristiana è “aperta alla verità da qualsiasi parte provenga” (“Caritas in veritate”, 9).

Come il povero fraticello, il Papa teologo irrompe nella Storia. Ma con la differenza che governerà la transizione influenzando la scelta del successore.

Strategia senza precedenti. In una Chiesa sbandata e smarrita nei suoi valori, scossa da scandali e tradimenti fin nelle segrete stanze vaticane. Da rifondare, forse. E’ la rivoluzione di Ratzinger. L’utopia, come senso del rimorso della Chiesa terrena.

@VicinanzaL

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