Rapinatori armati nello studio Brunetti «Scene da film»

Sotto tiro il legale, tre collaboratrici e e due clienti minacciati con le pistole e sequestrati nei bagni

PESCARA. I banditi suonano alla porta alle 19 in punto, quando nello studio legale ci sono l’avvocato, tre collaboratrici e due clienti. Sono armati di pistola e vogliono «l’incasso» come fossero al supermercato. È Pescara, via Trieste, angolo con via Nicola Fabrizi. Lo studio, è quello dell’avvocato 37enne Vincenzo Brunetti, lo stesso che il giorno dopo racconta: «Erano armati, ci hanno sequestrati nel bagno, ma non hanno alzato la voce e, soprattutto, non hanno toccato nessuno». Per i carabinieri del capitano Claudio Scarponi che indagano sull’episodio di martedì, è la conferma che si sia trattato di professionisti, gente del mestiere abituata a maneggiare armi e a lavorare pulito. Gente che evidentemente è andata a colpo sicuro nello studio Brunetti (dove lavorano altri sei avvocati), specializzato non solo in civile e penale ma anche in diritto sportivo. Banditi (sui 40 anni, accento campano, alti 1,65) che, per come si sono mossi all’interno dello studio, conoscevano, o qualcuno gliel’aveva riferito, com’erano dislocati gli uffici e dove stava la cassaforte. Racconta una delle collaboratrici dell’avvocato: «Hanno suonato alle 19. Sono andata ad aprire io e mi sono trovata di fronte un uomo con il casco in testa e gli occhiali a specchio. L’ho guardato come a chiedergli chi cercasse, ma lui ha tirato subito fuori la pistola e mi ha costretta a indietreggiare. Mi ha fatto cenno di stare zitta, mentre dal pianerottolo è sbucato un altro uomo, con la pistola in mano anche lui e un maglione a collo alto tiratro sulla bocca». È soltanto l’inizio, perché i banditi passano in rassegna una stanza dopo l’altra per arrivare a radunare nel giro di poco, pistole alla mano, le tre collaboratrici e un cliente nella stanza dove l’avvocato Brunetti sta ricevendo un altro cliente, per giunta un finanziere fuori servizio. È l’avvocato che cercano. è a lui che chiedono prima l’incasso e poi, con la pistola puntata, la cassaforte che si fanno aprire. Tutto ancora da quantificare il contenuto (il legale avrebbe riferito agli investigatori di non avere contanti) mentre, questo sì, è di circa 500 euro il bottino che i due banditi raccattano rapinando tutti i presenti. «Hanno radunato le nostre borse e ci hanno invitato a consegnargli i soldi, l’oro e gli orologi che avevamo addosso, ma non ci hanno toccati», va avanti una delle collaboratrici, «Poi ci hanno fatto mettere tutti i telefonini sul tavolo, ma hanno precisato che non avrebbero portati via, prima di chiederci dove fosse una stanza senza telefoni». È a questo punto, prima di chiudere tutti nei due bagni dell’appartamento, che il tono dei banditi si fa ulteriormente intimidatorio: «Che accento abbiamo, che accento abbiamo?», chiedono ai presenti in tono incalzante, «state attenti a quello che dite, sennò prendiamo i vostri documenti e vi ritroviamo».

È l’ultima minaccia prima di scappare per le scale a piedi e di confondersi nel traffico del centro mentre, nello studio, le sei persone sequestrate sfondano le porte e chiamano le forze dell’ordine. «Scene da film», ripetono ancora sgomente le tre ragazze rapinate. «Ma la sensazione non è di paura», puntualizza l’avvocato Brunetti, «ma del degrado sociale che c’è. Se si arriva ad andare in uno studio professionale a chiedere l’incasso come in un supermercato, a salire fino al terzo piano in pieno centro e armati di pistola, come è già avvenuto recentemente ad altri professionisti, significa che qualcosa è cambiato. Significa che queste cose non succedono più solo a Napoli o a Palermo, ma anche in una città di provincia come Pescara. Ci dobbiamo adeguare a quelli che sono e saranno i tempi. Io ho già chiesto il progetto per dotare tutta la palazzina di telecamere».

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