Rigopiano, i familiari in udienza nel giorno del sesto anniversario

Conclusi in anticipo gli interventi delle 120 parti civili, prossima seduta convocata per il 18 gennaio I parenti: «Andiamo avanti verso la sentenza, prima saremo in aula e poi a ricordare i nostri cari»
PESCARA. Con gli ultimi interventi dei difensori delle parti civili, che hanno definito le loro posizioni nell’udienza di ieri, il processo per il disastro dell’hotel Rigopiano, dove il 18 gennaio del 2017 persero la vita 29 persone, è stato aggiornato al 18 gennaio quando prenderanno il via le arringhe delle difese. Una data peraltro significativa visto che coincide con il sesto anniversario del disastro, ma sono stati gli stessi familiari delle vittime a invitare il giudice, Gianluca Sarandrea, che sta giudicando i 30 imputati con il rito abbreviato, ad andare avanti spedito con il processo. «Il 18 saremo tutti qui», ha detto Gianluca Tanda, presidente del Comitato Vittime di Rigopiano, «poi in tarda mattinata ci assenteremo per recarci a Rigopiano per un saluto ai nostri cari». E nell’udienza di ieri era atteso l’intervento del professor Nicola Pisani, ordinario di diritto penale all’università di Teramo, che assiste la Regione Abruzzo quale parte civile costituita contro tutti, ad eccezione degli imputati della stessa Regione. Un mandato sicuramente scomodo sotto diversi aspetti, che si è sviluppato con una discussione seguita con attenzione da tutti, anche perché in diversi passaggi si è trattato di una vera e propria arringa difensiva nei confronti di molti degli imputati, ad eccezione del sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta. «Abbiamo affrontato», ha detto Pisani, «alcuni aspetti fondamentali del processo come la prevedibilità dell’evento, quello della colpa e abbiamo però nel contempo creduto di chiedere che il processo guardi alle responsabilità dei singoli soggetti in modo tale che sia rispettato il principio della responsabilità del fatto proprio». Pisani ha citato anche la sentenza di Porto Marghera, ha parlato della frana di Sarno, delle condotte impeditive di chi aveva il potere per tutelare le vittime di Rigopiano, della Carta pericolo valanghe – «regole che non hanno nulla a che vedere con la prevedibilità dell’evento» ha detto –, ma anche di ridondanza ascrittiva del capo di imputazione e soprattutto della requisitoria della pubblica accusa, cui hanno fatto seguito le richieste di condanne per 26 dei 30 imputati e per un totale di 151 anni. «Intendevo dire che la responsabilità», ha spiegato il professore, «sia riconosciuta nei confronti dei soggetti che avevano un ruolo effettivo nella gestione del rischio. Ho fatto una discussione generale», ha aggiunto rispondendo a chi gli faceva notare di aver preso in maniera forse troppo evidente le difese degli imputati regionali e non solo, «non avevo da difendere nessuno proprio per la mia veste. Nel processo l’ente si è costituito perché vengano accertati i fatti e la verità e tra l’altro la mia discussione è stata imperniata sulla perizia disposta dal giudice e quindi più oggettivo di questo penso non si potesse fare. Sarà poi il giudice a decidere: non era in questione la responsabilità della Regione che come si sa era stata citata come responsabile civile, ma era stata poi esclusa dal processo».
Una posizione velatamente criticata dalle altre parti civili. «È chiaro che la difesa della Regione parte civile», ha detto l’avvocato Romolo Reboa che rappresenta quattro delle famiglie delle 29 vittime, «non poteva che essere una difesa di esonero dalle responsabilità e dal nesso causale. È una dinamica inevitabile di questo processo. Prima ho detto scherzosamente che oggi avremmo avuto le arringhe delle parti civili in favore degli imputati: era una battuta, ma anche una realtà di questo processo».
Un altro intervento di parte civile da sottolineare è stato quello dell’avvocato Giovanni Di Bartolomeo. Nel corso della precedente udienza, Roberto Del Rosso, una delle 29 vittime ed ex proprietario della struttura, era stato chiamato pesantemente in causa dallo stesso avvocato Reboa per un presunto giro poco chiaro di soldi nella cessione dell’hotel e quindi ieri Di Bartolomeo ha voluto rispondere a quelle accuse, in qualità di legale della vedova e dei suoi due figli, oltre che del fratello di Roberto, Pasqualino: «Per Roberto», ha detto il legale, «l’albergo era un sogno: aveva deciso di ristrutturare questo vecchio albergo di famiglia per farne un luogo particolare, che doveva rappresentare la tradizione e la cultura abruzzese. Al momento della tragedia, ma già da molto prima, Roberto non era più un imprenditore proprio perché questa sua iniziativa visionaria non aveva riscosso il successo che si attendeva, tanto che è fallita: era soltanto un dipendente della Gran Sasso Resort. Quindi, quando si è voluto indicarlo come uno speculatore o un uomo di potere si è presa una cantonata. Roberto è una delle vittime come tutte le altre e non aveva assolutamente idea del fatto che quell'albergo fosse a rischio altrimenti non avrebbe prima impegnato tutto il suo patrimonio in quell’operazione e poi anche la sua vita».
Dal 18 al 20 gennaio e poi dal 25 al 27 dello stesso mese, scenderà in campo il nutrito collegio difensivo. Poi ci saranno altre tre date, dal 15 al 17 febbraio, per proseguire con le arringhe se dovesse essere necessario e per le eventuali repliche: la sentenza dovrebbe arrivare quindi proprio il 17 febbraio.