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Rigopiano un mese dopo: «Voglio verità e giustizia per la mia Linda»

Il fidanzato di Linda Salzetta, la cameriera uccisa dalla valanga e che avrebbe dovuto sposare a maggio: «L’abito da sposa l’ha indossato per il funerale»

PENNE. «Abbandonati». Un mese dopo la valanga assassina, l’ultimo messaggio whatsapp di Linda Salzetta al fidanzato Davide, alle 15,07 del 18 gennaio, suona come la testimonianza estrema, il testamento morale lasciato a chi è rimasto a piangere lei e le altre 28 vittime dell’hotel Rigopiano. Lo sa beve Davide Giancaterino, che il 7 maggio si sarebbe dovuto sposare con Linda dopo quattro anni di fidanzamento e che oggi sta lì spaesato a dire «non se lo meritava». E anche per questo l’ultimo messaggio della fidanzata, «abbandonati», diventa per lui il punto da cui ripartire. «Per la verità, per la giustizia» dice Davide idraulico di Farindola non ancora trentenne che non ci crede ma ci spera: «Tanto nessuno pagherà. Ci sarà il solito scaricabarile, e poi niente. È l’Italia».

Rigopiano, "Un mese dopo la tragedia qui nessun politico"
Nicola Colangeli, autista Gtm in pensione, padre di Marinella, una delle vittime della valanga che un mese fa ha distrutto l'Hotel Rigopiano di Farindola provocando 29 morti, racconta il suo dolore alla giornalista Simona De Leonardis e sottolinea: "A un mese dalla tragedia nessuno politico è venuto qui. Venga il presidente Mattarella". (video di Giampiero Lattanzio)

Con il telefonino tra le mani mostra le ultime foto dell’hotel sommerso dalla neve inviate da Linda quel maledetto pomeriggio, racconta del dolore muto diventato rabbia in questo mese, ma poi lo sguardo si distende quando inizia a raccontare dei primi mobili che con Linda avevano iniziato a scegliere per la casa dove sarebbero andati in affitto, del banchetto a Villa Chiara e dell’entusiasmo per il vestito da sposa della fidanzata che già lo aveva avvertito: «Non so se riesco a non fartelo vedere fino al 7 maggio». Invece poi il ristorante gli ha restituito la caparra della festa e quel vestito da sposa l’hanno ritirato, sì, «ma Linda l’ha indossato per il suo funerale».

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Una storia triste che di più non si può, questa dell’hotel Rigopiano. Come gli occhi di Fabio Salzetta, il fratello di Linda scampato alla tragedia che davanti alla Villa comunale di Penne se ne sta in piedi, nella stessa penombra che c’era su a Rigopiano un mese fa. «Era così», racconta, «stava facendo buio quando sono riuscito a tirarmi fuori dal vano caldaia. C’è voluto un quarto d’ora, sono passato dalla finestra. E quando sono uscito non ho trovato più niente. Tutto bianco» È questo niente, lì dove c’era l’hotel dove lavorava con la sorella, lì nel piazzale dove fino a un attimo prima Gabriele, Dame e Alessandro lo stavano aiutando a scaricare il pellet nella caldaia, questo niente da un mese lo tortura e lo tiene sveglio la notte. «Sono un sopravvissuto. Per il caso, il destino, non lo so. Io ero dentro la caldaia e loro, Gabriele, Dame e Alessandro erano fuori che mi passavano il pellet. La valanga ha preso loro là fuori. E non ha preso me che ero a un passo».

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Eppure quella mattina, dopo la prima scossa di terremoto, mentre tutti non vedevano l’ora di andarsene, Fabio era tranquillo. «Non avevo paura, sapevo che dovevo rimanere lì a lavorare, era lontana l’idea di andarmene. Il terremoto? Se tornava sapevo dove mettermi al sicuro». E invece è arrivata la valanga che ha salvato proprio lui che non aveva paura. «Tutto coperto, non c’era più nessuno, solo silenzio. La valanga non l’ho sentita ma l’ho capito quando ho visto la voragine lungo la montagna, e gli alberi che non c’erano più». Poi l’incontro con Parete scampato nel parcheggio dell’hotel e tutte quelle telefonate fatte dai due per chiedere aiuto. «Quante? 10, 15, 20, 30», racconta Fabio, «nessuno ci credeva, ci prendevano per pazzi. Ma qualcuno sa come sono andate davvero le cose, quello che è successo è troppo evidente, e sa che tutto questo si poteva evitare».

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È sceso il buio a Penne. «Devo andare avanti e basta», dice Fabio che racconta un millesimo di tutto quello che ha visto e di tutto quello che sente adesso. «Quel giorno ho lavorato tutto il tempo fuori, con il bobcat, a tenere pulito il piazzale in attesa della turbina. Sono entrato solo un attimo nell’albergo, erano tutti dove sono stati trovati poi in attesa di andarsene. Nella hall, nella reception, al bar, in cucina. Linda stava là, nel retrocucina, a lavare i piatti. Sono entrato un attimo a lasciare il telefonino. E poi non l’ho vista più». Adesso che di tutto questo dolore vogliono farci una fiction Fabio dice: «È una sciocchezza grande. Si dovrebbero prima occupare delle cose più serie, della giustizia. E della verità».

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