Rocchi, da 40 anni la voce del Pescara

Radiocronista per la prima volta a Brescia nel 1976, quando aveva 16 anni Enrico (con il padre Rifredo) ha fatto la storia delle televisioni private

PESCARA. È la voce del Pescara da 40 anni, da quando a 16 anni, novembre 1976, il proprietario di Radio Pescara Michele Appignani gli disse «Enri’ devi andare a Brescia perché Walter Iannascoli (il papà di Danilo ndr) non può, si è ammalato».

Da allora, a occhio e croce, di radiocronache del Pescara (che fa ancora oggi per Radio Parsifal) ne ha fatte circa 800 («escluso l’anno di Paterna che non le ho volute fare»), mentre tra due anni festeggerà l’anniversario numero 40 anche con le trasmissioni televisive attualmente in onda su Tv6.

Enrico Rocchi, classe 1960, due figlie e già nonno, lo dice subito: «Pescara e il Pescara sono ragioni di vita per me. Per questo ho rinunciato ad andare fuori, la Rai nell’80, Canale 5 nell’89, Telepiù a Milano, una scelta azzeccatissima, come si vive a Pescara non si vive da nessuna parte. E poi ho avuto la fortuna di crescere professionalmente nel momento più bello e fortunato della città e della squadra. E com’ è successo ai tifosi di allora, se hai vissuto quel calcio non lo dimentichi più».

Un periodo in cui venivano tutti a Pescara, anche Maradona.

Con lui ho fatto il record. In una partita sola, Pescara-Napoli di Coppa Italia, nell’84, quando entrò in campo anche una sposa, lo intervistai tre volte: prima, nell’intervallo e a fine gara, tanto che poi in mezzo spagnolo mi disse “eh ma è già tre volte, sono Maradona”. Ma poi anche Junior fu un grande richiamo per Pescara. Per l’addio al calcio fece la festa da Eriberto e chiamò i nazionali di Italia-Brasile dell’82. Zico, Falcao, Paolo Rossi, tutti i grandi.

Quarant’anni di radiocronache, la più emozionante?

Sono due. Lo spareggio con Cadè a Bologna nel ’77, quando contro l’Atalanta ci fu davvero l’esodo dei quarantamila, e quello con Angelillo del ’79 sempre a Bologna contro il Monza. Andammo in serie A, e tutte e due le volte mi misi a piangere in diretta. Ma venivamo dai campionati di serie D, grazie al lavoro degli anni precedenti di Tom Rosati ci ritrovammo in un miracolo. L’entusiasmo arrivava da lì, da quel percorso vissuto da quando ero ragazzino. In quel periodo sono nati i Rangers di Angelo Manzo, le donne biancazzurre di Nella Grossi. Ci fu addirittura un pescarese, Perfetti, che al primo spareggio di Bologna ci andò di corsa, partì dal giovedì.

E la radiocronaca più strana?

Con Galeone, Pescara-Parma, il gol della promozione della stagione ’86-’87 di Bosco. Stavo a bordo campo, in quel momento mi passò qualcuno davanti, un fotografo forse, e invece io gridai Pagano. Mi corressi dopo 5 secondi, ma Bosco me l’ha sempre rinfacciato “un gol ho fatto, e l’hai dato pure a Pagano”.

La prima volta allo stadio?

Mio padre (Rifredo ndr) già a cinque anni mi portava a vedere il Pescara. Lui stravedeva per il difensore Cantarelli e poi per Nobili, Zucchini e Repetto. È lui che mi ha insegnato l’amore per il calcio.

A proposito di suo padre Rifredo, indimenticabile la sua trasmissione la domenica all’ora di pranzo.

Sì, papà lavorava in banca, alla Banca commerciale, ma aveva la passione per il giornalismo. È stato per una vita corrispondente di Tuttosport, scriveva sul Tempo e a Telemare , la domenica all’ora di pranzo faceva “Il punto della situazione”, programma seguitissimo. Solo che per montare i brani musicali che inseriva sulle immagini dei calciatori, a seconda del tema che trattava, con la sua ironia, ci impiegavo tutta la notte, facevo io i montaggi. Ho incominciato grazie a lui. Anche se voleva che entrassi in banca.

A quanti anni in radio?

A 16 anni la prima radiocronaca, ma a Radio Pescara ho iniziato già a 14 anni, davo risultati e classifiche e a 15 anni avevo una trasmissione d’estate alle 6 della mattina, con il proverbio e l’oroscopo del giorno. Mi dovevo alzare presto e la sera non uscivo mai. E non mi pagavano neanche. A 18 anni ho iniziato a vedere qualche soldo.

Ma come si conciliavano le trasferte con la scuola?

Facevo l’Acerbo, ma per me la partita doppia era la partita di andata e ritorno, non mi piaceva proprio. Il lunedì non andavo, il sabato quasi mai, ma in classe erano tifosi, c’era pure la bandiera. Mi ricordo il professore di tecnica bancaria, Appignani, lui mi capiva. Ai compiti in classe, casualmente, mi metteva sempre vicino a qualche primo della classe. Vivevo la settimana da calciatore, il sabato sera a letto presto e in discoteca solo il giovedì, al Lenny.

E la Tv quando è iniziata?

A 18 anni, nel 1978 quando anche con la radio passai da Radio Pescara a 7G7 e al mio posto andò Pino Ciccantelli, viaggiavamo insieme per le partite. In tv iniziai con le trasmissioni da studio su Tele Adriatica, Tva, quando le prime telecronache le faceva Sergio Di Sciascio. Poi con Elia Iezzi divenne Tvaq e poi Tvq. C’era pure Vittorio Mingione, con lui sono diventato giornalista. Su Tvq all’epoca faceva una trasmissione anche Bruno Nobili, “Nobilmente parlando” e un’altra la faceva Estiarte “Immagini di un campione”. A Tvq rimasi fino al 1984, quando passai a Telemare e iniziò il periodo più bello, fino al 1992. Anni in cui sulle tv private abruzzesi lavoravano ragazzi diventati poi inviati nazionali come Andrea Fusco che stava a Teleabruzzo, Giulio Delfino e Daniele Barone a Rete 8, Gianfranco Mazzoni a Tele Teramo, Remo Croci.

Alla fine si torna sempre là, al periodo di Galeone, perché?

Galeone resta sempre il migliore, mai nessuno come lui, perché ci ha portato due volte in A e perché si è subito identificato con la città, cosa che è mancata a Zeman. Galeone, quando Pescara lo chiamava, diceva sempre di sì, anche se quando ci fu la retrocessione dovette lasciare lo stadio con il cellulare della polizia, perché lo contestarono pesantemente. Quella domenica si fece portare dalla polizia proprio a Telemare dov’era di casa, perché il venerdì era ospite fisso a Replay. E quando su Telemare c’era Galeone la città vedeva quello.

Ma c’era concorrenza tra le tv private?

Sì, a Rete 8, l’ospite fisso era Gasperini, ma noi avevamo anche Leo Junior il martedì con BrasiLeo, e là non ce n’era per nessuno. Con la Focardi e le ragazze Coccodè, e gli inviati più blasonati che venivano da tutta Italia. Gianni Brera, Caminiti, Mosca, Sandro Ciotti, tutti. Poi si finiva a cena. All’epoca gli editori investivano sulla tv, e Pierangeli in particolare, allora proprietario di Telemare, ha fatto grandi cose.

Qualche retroscena?

Mah, con Brera capitò che dopo la trasmissione andammo a mangiare sul trabocco di Marinelli, gli avevamo prenotato l’hotel ma alle 3 di notte disse che voleva tornare a casa, a casa a Milano. A quel punto chiamai al volo Giovannino Troilo, “c’è da andare a Milano” gli dissi. E lui: “che problema c’è, andiamo”. Oppure quando venne Mughini. La televisione era Tar, Mughini chiese subito della sala trucco. Lo portai in un saletta e chiamai Lamberta Salvati che aveva un programma per ragazzi. Le dissi “dagli un’acconciata” e alla fine Mughini uscì con una criniera alta così.

Qualche siparietto?

Storico quello tra Pilota e Mazzone. Il Pescara andava male e Pilota ospite in trasmissione gli dava in testa. A un certo punto chiamò Mazzone che dopo un botta e risposta tagliò corto e disse a Pilota “io domenica contro l’Ancona vinco e tu non parlerai più”. Invece perse e fu esonerato.

Capitolo a parte le telefonate da casa.

Sì, c’era chi telefonava a ogni puntata Uno è William Carosella. Chiamava tutte le sere, sono William da Montesilvano. È diventato opinionista.

Con chi è rimasto in contatto ?

Galeone, Allegri, Junior, Totò Nobile.

Ancora calcio, il presidente migliore e quello peggiore.

Scibilia, il top. Anche se quando arrivò ci litigai subito il primo giorno. Durante la conferenza stampa si facevano domande un po’ scomode, e lui quando toccò a me, mi puntò il dito e mi disse “se lei stava in Calabria l’avrebbero già fatta fuori”. Col tempo ho capito che era una persona di un’onestà d’altri tempi. Ma il miglior dirigente del Pescara è stato Oliveri, un intenditore di calcio che sapeva ben amministrare la società e non si lasciava influenzare.

Manca il peggiore.

Paterna, il peggior presidente della storia del Pescara, pensava solo agli affari suoi.

Ha nominato Gino Pilota, in quel periodo ospitava spesso Senna, l’ha conosciuto?

Sì a casa di Pilota. Ebbi il privilegio di intervistarlo, era un mito per me. Di un’umiltà pazzesca, semplice, alla mano. Amava Pescara, era il suo rifugio, gli piaceva andare sul trabocco, al molo. Mi ricordo una sera, eravamo con Pilota al Cutty Sark e bisognava spostare la Porsche fuori. Pilota diede le chiavi a Senna e mi chiese di accompagnarlo. Salimmo in macchina, Senna partì a razzo e la rotonda ce la facemmo solo su due ruote. Ma con Pilota erano belle pure le trasferte di pallanuoto che finivano puntualmente al casinò, come a Berlino, dove con il suo 32 vinse due miliardi e piazzò sul tavolo verde la Coppa dei campioni appena vinta dalla squadra. Poi però il giorno dopo ne perse 4, di miliardi. Me lo ricordo bene perché mi mandava a cambiargli le fiches, 50 milioni alla volta.

Un personaggio è anche Paride Albanese, dove si vestivano tutti i calciatori. Anche lei?

Paride è un artista, sta avanti, è un personaggio vero. Al matrimonio mi ha vestito lui, tutto di bianco. Mia moglie Maria non ci poteva credere.

Ma va sempre in giacca e cravatta?

Sì, anche quando non lavoro, ci sto comodo. E poi le cravatte sono la mia passione, ce ne avrò più di mille. È l’unica cosa di cui sono geloso. Ho un armadio pieno di cravatte.

E come si sceglie una bella cravatta?

Ti deve colpire subito, come le donne. Magari è anche brutta, ma se ti emoziona è quella.

Il rimpianto non ce l’ha, il sogno?

Il Pescara in Champions.

Intanto ci va in serie A?

Certo che sì.