Ruba i dati di una sconosciuta e li vende su siti hard: condannato per diffamazione e sostituzione di persona

23 Luglio 2025

Sette mesi al 29enne pescarese incensurato: aveva sottratto foto e video dal telefonino di una 21enne. Il racconto della vittima: «Ricevo insulti e richieste di prestazioni sessuali, vivo nel terrore dal 2019»

PESCARA. Arriva la condanna per un pescarese di 29 anni, L.M. accusato di sostituzione di persona e diffamazione ai danni di una ragazza (all’epoca dei fatti aveva 21 anni e non aveva mai conosciuto l'imputato) alla quale venne rubato tutto il materiale che aveva archiviato sul suo telefonino (compresi i documenti di identità) per metterlo in circolazione sul web e, in particolare, su una serie di siti hard per vendere sue foto e filmati, anche e soprattutto a sfondo sessuale. Il giudice monocratico Angelo Di Salvatore gli ha inflitto 7 mesi di reclusione perché incensurato, anche se aveva avuto un precedente procedimento, sempre collegato a questa storia, concluso con la messa alla prova che gli fece estinguere ogni precedente (nato dal ritrovamento nel suo computer di moltissimi file a sfondo pedopornografico). Il giudice ha deciso anche per il risarcimento del danno che i due legali della parte offesa, gli avvocati Claudia Mancini e Tullia Martelli, dovranno far valere in sede civile, aggiungendo una provvisionale di appena mille euro.

IL RACCONTO DELLA VITTIMA

Nella precedente udienza la vittima aveva reso la sua testimonianza, facendo capire il disagio e i problemi che le provocò questa storia che sembra non ancora finita. «Sono distrutta. Anche oggi continuo a ricevere messaggi, e questo va avanti dal 2019. Sul web ci sono pagine che non sono state ancora tolte. Ricevo insulti e richieste di prestazioni sessuali. Vivo nel terrore che qualcuno possa seguirmi». E in proposito, circa le difficoltà di far sparire le pagine dai siti, l’avvocato Martelli ha citato al giudice anche la vicenda della ex moglie di uno dei più famosi imprenditori italiani. «Qualcuno mi ha detto», ha proseguito la parte offesa nella sua deposizione, «che il mio numero si trova anche in qualche autogrill. Continuo a essere contattata da persone che hanno visto le mie foto che io non ho mai pubblicato. Foto pubblicate su Instagram, Tumblr e altri siti per adulti: siti che portano il mio nome come se li avessi creati io, dove è scritto che vendo foto e video. Ed esiste anche un sito per i pagamenti intestato a me».

I FALSI PROFILI

L’imputato avrebbe creato anche dei siti spacciandosi per la parte offesa, dai quali metteva in vendita foto e filmati come se fosse la stessa interessata a farlo. Il pm Luca Sciarretta, originariamente, trasmise il fascicolo alla distrettuale dell'Aquila competente per reati informatici che affidò un incarico al consulente Davide Ortolano, per poi restituire il fascicolo a Pescara. Il consulente, sentito in aula, spiegò come l’imputato avrebbe agito per creare quei falsi profili della parte offesa e arrivare ad incassare i proventi di quel mercato di foto hard. «C'erano foto e video probabilmente artefatti con sovrapposizione di scritte e uno di questi era associato a un conto che apparentemente era intestato alla parte offesa, mentre in realtà confluiva in un altro conto riferito all'imputato», riferì il consulente informatico. Quest'ultimo è riuscito anche a rinvenire, nella cartella immagini del materiale informatico dell’imputato, dove era presente anche un tariffario per foto e video che andava da 2 a 40 euro.

LA PRIMA DENUNCIA

Ha deposto nel processo anche un investigatore della polizia postale che partì dalla prima denuncia presentata dalla parte offesa a gennaio del 2019, dove si parlava di account Instagram falsi: ma poi ci furono altre denunce che integrarono il quadro.

I REATI CONTESTATI DAL PM

Nel capo di imputazione il pm Sciarretta contestava all'imputato i due reati: «...essendo entrato in possesso di foto e video, anche intimi e a sfondo sessuale di..., al fine di procurare a sé un vantaggio, creava e utilizzava vari profili del servizio di rete sociale Instagram e del servizio sociale Tumblr (citando i vari link che riportavano il nome della parte offesa con a fianco scritte diverse e palesemente hot, anche con la dicitura “vendo foto e video”) con cui, spacciandosi e sostituendosi alla parte offesa, pubblicava il suddetto materiale allo scopo di venderlo ad ignari acquirenti, in tal modo offendendo la reputazione e l’onore della parte offesa. Con l’aggravante di aver commesso il fatto sulla rete Internet, utilizzando uno strumento destinato ad un numero indeterminato di persone».