San Donato, carcere al collasso: «Il muro è il più basso d’Italia, scappare è facile»

13 Novembre 2025

Il sopralluogo dei consiglieri: «Troppi problemi strutturali». E il personale è allo stremo: «120 agenti, ne servono almeno il doppio».

PESCARA. Un muro di cinta tra i più bassi d’Italia, senza nemmeno una cancellata in ferro, separa nel quartiere San Donato la libertà dal mondo chiuso del carcere. È un confine fragile, simbolo di una realtà ancora più precaria all’interno: celle sovraffollate, personale allo stremo e strutture ormai fatiscenti. Nella casa circondariale di San Donato vivono oggi 407 detenuti a fronte di appena 276 posti disponibili, con interi reparti ancora inagibili dopo la rivolta scoppiata nove mesi fa. Da allora, tutto fermo. Eppure la politica, più volte, ha provato a richiamare l’attenzione su quella che ormai è un’emergenza cronica, chiedendo il trasferimento del carcere in un’area più ampia. Di questo ha parlato ieri mattina il capogruppo civico Domenico Pettinari, ex vicepresidente del Consiglio regionale, durante la visita alla struttura insieme alla nuova direttrice Arianna Colonna che ringrazia «per la grande disponibilità dimostrata, ma soprattutto per la passione e determinazione che la contraddistinguono nel ruolo assunto». «Per la settima volta» racconta Pettinari, affiancato dal consigliere civico Massimiliano Di Pillo, «sono tornato a visitare il carcere per verificare gli interventi promessi dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Ministero dopo il Consiglio straordinario del Comune di Pescara». I due consiglieri hanno potuto constatare di persona le criticità dell’istituto, confrontandosi con il personale e con i detenuti, molti dei quali condannati per reati gravissimi.

IL SOVRAFFOLLAMENTo  Sono quattro i reparti di detenzione presenti a San Donato: psichiatrico, giudiziario, penale e collaboratori di giustizia. Il più critico è quello psichiatrico, che dispone di appena 7 posti «a fronte di circa 80 detenuti con doppia diagnosi. In assenza di stanze adeguate, questi vengono distribuiti nei reparti ordinari, con tutte le conseguenze facilmente immaginabili», racconta Pettinari. Così, sempre più spesso, le rivolte nascono proprio da detenuti psichiatrici sistemati in altre sezioni dell’istituto. Il sovraffollamento è drammatico: «Celle con otto persone stipate in pochi metri quadrati, su letti a castello, in spazi pensati per la metà», riporta Pettinari. Nel carcere pescarese, oltre ai detenuti locali, si contano molti reclusi provenienti dal Lazio e una quota di stranieri che sfiora il 30 per cento. «Proprio questa popolazione carceraria esterna alla regione», denuncia il consigliere Pettinari, «è spesso la più difficile da gestire e finisce per rendere il sistema penitenziario pescarese ancora più esplosivo».

I PROBLEMI STRUTTURALI  A peggiorare la situazione ci sono le condizioni dell’edificio, che si allaga ogni volta che piove forte. «Le strutture versano in un grave stato di degrado», aggiunge Pettinari, tornando a denunciare la pericolosità del muro di cinta. «È il più basso d’Italia. In molti punti si sta sgretolando e manca la recinzione esterna in ferro che garantirebbe una maggiore sicurezza antievasione. Non a caso, i tentativi di fuga si ripetono di frequente, talvolta anche con esito positivo». Ancora in attesa di interventi la sezione penale, dove le pareti sono ancora annerite dal rogo e i vetri giacciono a terra dal giorno della rivolta. Stessa sorte per la sezione isolamento, distrutta nell’incendio di febbraio e oggi ricavata provvisoriamente in un altro reparto. Problemi anche ai controlli per i visitatori. «Non vengono effettuate perquisizioni, si usa solo il metal detector», sottolinea Pettinari, chiedendo maggiori misure di sicurezza anche per l’accesso dall’esterno.

LA CARENZA DI AGENTI  La vera emergenza, però, resta quella del personale. Solo 120 agenti di polizia penitenziaria in servizio contro un organico previsto di 210. «Uomini e donne che ogni giorno mettono la loro vita in pericolo», spiega Pettinari, «costretti a turni estenuanti e a fronteggiare aggressioni sempre più frequenti». Un comandante, un vice e dieci sottufficiali: numeri insufficienti per gestire un istituto che continua ad accogliere nuovi detenuti. Spesso, per coprire i turni, gli agenti vengono “presi in prestito” da altri uffici, come l’ufficio matricole, «il cuore pulsante del carcere», dove appena cinque agenti si ritrovano a coprire anche i reparti. Una crisi senza precedenti che da tempo i sindacati denunciano come una bomba pronta a esplodere.

L’APPELLO  Con la visita al carcere di Pettinari e Di Pillo torna al centro del dibattito la necessità di una nuova struttura penitenziaria a Pescara. «Il nostro obiettivo», spiegano, «è tenere alta l’attenzione su una situazione che mette a rischio la vita del personale e mina la sicurezza della città». I consiglieri lanciano un appello al sindaco Carlo Masci: «Chiediamo che, forte del mandato ricevuto dal Consiglio comunale, si faccia carico del problema e pretenda interventi immediati dal Ministero della Giustizia. Servono manutenzione, ristrutturazioni urgenti e una recinzione esterna adeguata per garantire almeno i minimi standard di sicurezza». Ma non basta. «Il Ministero», aggiungono, «deve assegnare almeno 40 nuovi agenti e sottufficiali. Dopo l’ultima rivolta di febbraio, in cui i nostri poliziotti hanno rischiato la vita, non è più tollerabile restare fermi». Infine, l’accusa politica: «Il carcere di Pescara accoglie una percentuale altissima di detenuti stranieri e provenienti da altre regioni, soprattutto dal Lazio. Non possiamo continuare a essere scaricati dei problemi altrui». Il caso torna dunque in aula. «Nei prossimi giorni depositeremo una interrogazione in Consiglio chiedendo conto al sindaco di quanto riscontrato nella struttura carceraria e tra alcuni mesi», promettono i due, «torneremo ad ispezionare nuovamente la struttura carceraria fino a quando i problemi non saranno definitivamente risolti».

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