SE FOSSE UN FILM
Questo racconto è tra i 15 in gara per il premio John Fante 2013. Oltre al titolo assegnato dalla giuria di qualità, sarà assegnato anche un premio dei lettori. Se vuoi far vincere questo scritto condividilo su Facebook, Twitter o Google+
IL WEB CONTEST Tutti i quindici racconti in finale
IL REGOLAMENTO Condividi il testo che preferisci
Se fosse un film, inizierebbe con una voce fuori campo. L'immagine si farebbe attendere, prendendosi gioco dell'impazienza di chi ý arrivato in anticipo, poi il nero verrebbe rimpiazzato da una timida dissolvenza. Non sarebbe difficile, allora, identificare nella voce fuori campo un giovane che guarda oltre una finestra al quarto piano. Se fosse un film, ci sarebbe una pioggia battente a interpretare il suo stato d'animo, a sottolinearne la malinconia degli occhi e il pallore del viso, mentre gocce di pioggia si infrangono sulla finestra. Sono lacrime di vetro che un primo piano proietta direttamente sul volto del giovane.
Strappai il foglio e lo lanciai dal quarto piano. Non andava bene.
Il meteo è un artificio che si impara presto e si riconosce subito: ho visto decine di commedie soleggiate nelle quali piove sull'unica scena drammatica dopo due ore di raggi uva, per non parlare delle centinaia di horror movie che terminano con un cielo sereno dopo una profusione di tempeste di pioggia e banchi di nebbia.
Era un pessimo inizio, lui non avrebbe approvato.
Nel voltarmi verso l'interno della stanza intercettai il suo sguardo. Incombeva dall'alto di un quadretto che avevo affisso in maniera rudimentale sulla scrivania. Non aveva cornice, era una semplice foto sotto vetro in bianco e nero, ma avevo voluto fargli l'onore di un buco nel muro. Dopotutto si trattava del più grande scrittore che l'America avesse mai conosciuto.
Sulle pareti della stanza aveva luogo una quotidiana sfida del nastro adesivo alla forza di gravitazione universale. Quando qualcosa prendeva a penzolare, toccava piazzare una bella manata. Lui invece non ne aveva bisogno, saldamente ancorato a un chiodo ben piantato nel muro con una botta secca che il vicino se la ricordava ancora. Da allora mi sorvegliava con quel suo sguardo paterno, amorevole e allo stesso tempo intransigente. La testa appena inclinata in avanti, per accogliere una confidenza o in segno di rimprovero. Quell'uomo sembrava capace di scrutare a fondo i miei pensieri. Quando accadeva, il suo sguardo poteva dire molte cose, tutte capaci di rassicurarmi o scuotermi a dovere.
Era sera inoltrata e l'incipit del romanzo stentava ad arrivare. Mi ritrovai seduto sul letto, gli occhi a vagare nella penombra. Mi fissava, come al solito. Sembrava sul punto di schiudere le labbra e suggerirmi qualcosa, ma non lo fece. Voleva che ci arrivassi da solo.
Mi guardai attorno. L'arredamento era malconcio e mal assortito. Una vecchia tv su un mobiletto pieno di vhs; ciò che non entrava in dispensa era sistemato alla meno peggio su una scheletrica scaffalatura che non trasmetteva la certezza di poterne reggere il peso; gli infissi gridavano vendetta, le sedie imploravano pietà e in una boccia di vetro sguazzava rassegnato un pesce rosso perennemente esposto alle radiazioni di un microonde.
Tutto sembrava ricordarmi quanto la vita fosse precaria, provvisoria. Un accampamento. Mi vidi costretto a riconoscere i sintomi di un fallimento. Eppure c'era stato un tempo in cui sapevo con certezza cosa volessi dalla vita; c'era stato un tempo in cui avevo sperato, combattuto, implorato. Adesso ero stanco e desideroso solo di fermarmi a guardare lo spettacolo delle mie rovine, cullarmi nella loro luce per ritrovare in essa una qualche forma di slancio, un ricordo che mi svegliasse con dolcezza dal vano sogno in cui avevo vissuto.
Se fosse un film, finirebbe adesso.
Scambiammo un ultimo sguardo.
Allora si rese conto che era difficile cominciare a raccontare, perché la sua storia - questa storia - cominciava qualche tempo prima, in un altro posto.
©RIPRODUZIONE RISERVATA