Segregata e picchiata dal marito per vent’anni, decisiva la testimonianza della figlia: «Non voleva che uscissi»

25 Settembre 2025

La ragazza oggi ha 20 anni: «Botte e minacce, non lasciava vivere nemmeno me». Ma ora per un 41enne di origine romena, è arrivata la condanna: quattro anni e sei mesi

PESCARA. Per quasi vent’anni è stata costretta a condurre una vita da segregata in casa, picchiata (anche mentre era incinta), insultata e vessata psicologicamente da un marito geloso e manesco che, con le sue violenze fisiche e non solo, non ha risparmiato neppure la figlia, all’epoca minorenne. Una vita d’inferno che, dopo vent’anni, ha portato la donna a sporgere denuncia ai carabinieri e a far scattare nei confronti del marito una misura cautelare di allontanamento dalla casa familiare per salvaguardare l’incolumità fisica e psicologica sua e della figlia.

Una vicenda ripercorsa in tribunale davanti al collegio che ieri ha emesso la sentenza a carico di un romeno di 41 anni: condanna a quattro anni e sei mesi di reclusione e al risarcimento dei danni in favore delle due donne (la ragazza oggi ha 20 anni), mentre il pubblico ministero, Rosangela Di Stefano, aveva chiesto una condanna a 7 anni e 8 mesi.

Il racconto della donna e quello della figlia sono contenuti nella misura cautelare che il gip Giovanni de Rensis ha emesso nell’agosto del 2024 a carico del marito e padre violento. La donna fino a quel momento aveva scelto di non denunciare il marito anche perché temeva per la sua incolumità: «Ho sempre avuto paura che potesse farmi del male e per questo motivo», spiegava ai carabinieri di Montesilvano, «non sono mai andata in ospedale e non ho mai chiamato i carabinieri».

Botte e ingiurie anche per i più banali motivi: «Praticamente ogni lite e ogni aggressione era accentuata da frasi ingiuriose e minacciose, tra le quali anche minacce di morte». La donna racconta anche di un episodio che si verificò quando la coppia si trovava in Romania: «Per motivi lavorativi mi ha picchiata con schiaffi e pugni sull’addome e sul fianco. Preciso che in quel momento ero incinta e a causa delle botte ricevute ho abortito». E poi ancora: «Mio marito non mi consentiva di uscire, di avere amici, non potevo nemmeno chiamare i parenti e non potevo lavorare. La sua gelosia era opprimente e stava facendo lo stesso con nostra figlia».

Gli investigatori acquisirono anche le dichiarazioni della figlia divenuta maggiorenne: «Fin da quando ero piccola ho visto mio padre picchiare mia madre molte volte». La ragazza riferisce anche di un episodio del Natale 2018: «Era ubriaco e stava picchiando la mamma. Ricordo che l’aveva buttata a terra e la stava colpendo al fianco con dei pugni. Mi sono messa in mezzo per cercare di difenderla e ha colpito anche me». La ragazza racconta anche di quando chiese di poter fare delle ripetizioni a un bambino.

«Quando mio padre lo ha saputo è andato su tutte le furie, mi ha colpito con uno schiaffo e successivamente mi ha tirato i capelli buttandomi a terra e mi colpiva al fianco... diverse volte mi minacciava dicendomi che mi staccava una mano o che mi avrebbe strappato tutti i capelli per mandarmi in giro “pelata”. Non mi lascia vivere e non vuole che io esca e quando raramente riesco ad uscire mi impone di tornare a casa altrimenti aggredisce la mamma. Inoltre, non vuole che io prosegua gli studi mentre io vorrei frequentare l'università di economia».

E nel motivare le esigenze cautelari il giudice scrisse che l'indagato «ha posto in essere, per un lasso temporale insorto da svariati anni e protrattosi sino ai giorni nostri, con conseguente innegabile abitualità, condotte tese all’imposizione ai danni delle persone offese di un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile, con una condotta lesiva dell’integrità, della libertà, dell’onore e del decoro dei soggetti passivi». E ieri per l'imputato è arrivata la condanna del tribunale.

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