Stalking, respinti i ricorsi contro le ammonizioni

IlTar difende gli avvertimenti orali dei questori contro gli atti persecutori «E’ il modo più efficace per scoraggiare molestie, ingiurie e pedinamenti»

PESCARA. C’è il sospetto di molestie telefoniche, di ingiurie, di pedinamenti, in una parola di stalking? Scatta il cartellino giallo: un ammonimento, orale, comminato dal questore, che non ha risvolti penali se l’atto persecutorio – così come individuato dalla nuova legge entrata in vigore tre anni fa – non ha seguito. Da quando è entrata in vigore la norma, che ha aggravato e potenziato il vecchio reato di minacce, il provvedimento è stato adottato in molte occasioni e a testimoniarlo sono i ricorsi che i “potenziali” stalker presentano per farlo annullare.

Un caso discusso di recente riguarda un marito, raggiunto dall’ammonimento su richiesta della coniuge, dalla quale è separato legalmente, che ha lamentato di essere oggetto di persecuzioni senza però avere sporto querela. Il questore, dopo gli accertamenti svolti dai carabinieri, ha “avvisato” il consorte sospetto (redigendo relativo verbale), invitandolo a tenere una condotta conforme a legge, pena il deferimento all’autorità giudiziaria. L’uomo ha denunciato l’ex moglie per calunnia, ha impugnato l’avviso orale davanti al prefetto, che non lo ha accolto, e ha riproposto analogo ricorso al Tar. I giudici lo hanno respinto con motivazioni che ben inquadrano lo spirito della norma: «L’istituto dell’ammonimento orale è una misura di prevenzione con finalità dissuasive per scoraggiare ogni forma persecutoria, nel contesto di relazioni pseudoafettive o sentimentali, che potrebbe degenerare in illeciti penali ben più gravi. Si tratta di un atto con chiare finalità cautelari, che non deve ricercare la prova di un fatto penalmente rilevante, ma vuole prevenire proprio quelli che potrebbero diventare comportamenti lesivi più gravi; è una procedura che non intende instaurare alcun preventivo contradditorio tra le parti, bensì mira solo a verificare la sussistenza di validi elementi indiziari per procedere tempestivamente all’ammonimento».

Le stesse motivazioni - firmate dai giudici Zuballi, Eliantonio e Nazzaro – hanno dato linfa alla sentenza con cui il Tar ha respinto il ricorso di una cittadina lituana, decisa a far cancellare l’ammonimento inflittole, richiesto da un’altra donna. Secondo il collegio, «non è necessario, ai fini dell’ammonimento, che si sia raggiunta la prova del reato, essendo sufficiente fare riferimento a elementi dai quali è possibile desumere un comportamento persecutorio o gravemente minaccioso che ha ingenerato nella vittima un forte stato di ansia e paura». Se si richiedesse alla vittima di fornire prove tali da poter sostenere un giudizio penale, l’ammonimento avrebbe scarse possibilità di applicazione pratica visto che, dice il Tar, «le condotte integranti gli “atti persecutori”, il cosiddetto stalking, per loro natura si consumano spesso in assenza di testimoni».

La norma è infatti chiara nel delimitare i poteri-doveri del questore, prescrivendo che quest’ultimo assuma «se necessario informazioni dagli organi investigativi» e senta «le persone informate dei fatti» al fine di formarsi un «prudente convincimento» sulla fondatezza dell’istanza. In sostanza, il questore deve solo raggiungere una ragionevole certezza sulla plausibilità dei casi esposti, senza che sia necessario il compiuto riscontro della lesione della libertà della vittima».

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