Trifuoggi non arretra «Le prove ci sono le porteremo in aula»

Il capo del pool: «Gli ispettori in procura? Facciano pure Con Del Turco i vantaggi per Angelini continuarono».

PESCARA. «Noi siamo assolutamente tranquilli: lo eravamo dopo la richiesta delle misure cautelari, lo siamo ancora di più dopo avere assunto ulteriori elementi di prova». Nel suo ufficio, al quinto piano del palazzo di giustizia di Pescara, il procuratore capo Nicola Trifuoggi non sembra affatto sentirsi sotto assedio: «Il processo si farà nelle aule di udienza e in quella sede la procura porterà le prove: ma le carte sono note a tutti gli avvocati e saranno note a tutti con l’udienza preliminare». E le reazioni seguite alla pubblicazione del rapporto dei Nas non fanno vacillare le convinzioni dell’accusa: «Ci manderanno gli ispettori? Lo facciano».

Alla fine della mattinata, sulla scrivania del procuratore si sono accumulati i giornali, a partire dalla Stampa di Torino, che titola «Crollano le accuse a Del Turco», riprende le dichiarazioni dell’ex presidente del Senato Franco Marini al Centro e cita una richiesta di rinvio a giudizio che però non è ancora stata firmata. Poco dopo l’una, con i titoli dei telegiornali, arriva un altra ondata della tempesta mediatica. Una telefonata, qualche scambio di battute. Chiama un’agenzia di stampa. Trifuoggi non si scompone: «Come d’abitudine ci si difende dal processo e fuori dal processo, ma non nel processo: tutto quello che appare sui giornali non è stato oggetto di alcuna memoria difensiva dopo il 415 bis (l’avviso di conclusione delle indagini, ndr). Ma il processo si farà nelle aule di udienza e in quella sede la procura mostrerà le prove». Del resto, ricorda Trifuoggi, gli imputati eccellenti (pochi esclusi) non hanno chiesto di essere ascoltati e l’ex governatore Ottaviano Del Turco, di fronte ai magistrati, è sempre rimasto in silenzio.

«ABBIAMO I RISCONTRI»
Per il procuratore capo, dunque, così come i sostituti che con lui compongono il pool che ha condotto l’inchiesta sullo scandalo della sanità, Giuseppe Bellelli e Giampiero Di Florio, l’inchiesta è blindata: «Non ci sono solo le dichiarazioni di Vincenzo Maria Angelini, abbiamo trovato una serie di altri elementi di riscontri». E nessuno sconto, assicura, è stato fatto al grande accusatore: «Tant’è che noi avevamo chiesto una misura cautelare che il gip (Maria Michela Di Fine, ndr) ha ritenuto di non concedere: ma Angelini è un imputato per reati che vanno dall’associazione per delinquere alla truffa, non una vittima» sottolinea Trifuoggi. Tant’è, ricorda ancora, che la Finanza ha posto sotto sequestro Villa Pini e sette immobili di sua proprietà. Beni per un valore stimato di 33 milioni di euro, l’equivalente, secondo l’accusa, dei rimborsi non dovuti ottenuti da Angelini per prestazioni sanitarie.

Quanto al dossier dei carabinieri saltato fuori dopo Capodanno, per la procura non cambia la sostanza delle accuse: «Dei fatti rappresentati nel rapporto dei Nas eravamo perfettamente a conoscenza e venivamo informati periodicamente». Non poteva essere altrimenti, del resto: era stato il pool, infatti, ad assegnare la delega all’Arma mentre erano già in corso le indagini delegate alla Guardia di finanza. L’obiettivo era entrare nel meccanismo delle presunte truffe ai danni della Regione effettuate attraverso il meccanismo della moltiplicazione delle prestazioni sanitarie.

IL DOSSIER DEI NAS Spiega Trifuoggi: «Era solo un approfondimento tecnico che andava combinato con tutti gli altri elementi a nostra disposizione emersi dalle indagini della Finanza, di cui i Nas non erano a conoscenza, così come non conoscevano le dichiarazioni di Angelini: noi abbiamo ritenuto che in quel meccanismo concorressero anche altri indagati, come l’ex presidente Del Turco». Il sistema, del resto, ricordano in procura, agli inquirenti era già noto: sarebbe lo stesso già rivelato dalle indagini che avevano portato a un primo processo per truffa, falso e abuso d’ufficio (titolare il pm Bellelli) - relativo al periodo che va dal 1995 al 1999, un processo che vedeva Angelini sotto accusa assieme ad altri imputati eccellenti e che finì per spegnersi prematuramente grazie alla legge ex Cirielli che aveva abbreviato i tempi per la prescrizione. Per l’accusa, dunque, il rapporto consegnato dai Nas il 16 giugno 2008 sarebbe stata solo una ulteriore conferma a fatti già noti, e come tale inserito negli atti del procedimento.

Trifuoggi smentisce con decisione la «tesi difensiva» in base alla quale quel dossier scagionerebbe Del Turco, dimostrando che la sua amministrazione - falcidiata dagli arresti - avrebbe tagliato drasticamente i finanziamenti alle cliniche di Angelini, avviando un’opera di risanamento: «È vero che la giunta Del Turco aveva ridotto il budget totale della sanità, ma questo solo perché l’aveva ridotto il governo» afferma il procuratore, «e venne fatto male, tant’è che poi la sanità venne commissariata. Questo, nonostante le telefonate fatte da Del Turco a Silvio Berlusconi, con il presidente del consiglio che rispondeva: te la devi prendere con Prodi, è lui che ha avviato le procedure».

All’interno dei tagli al bilancio della sanità, ricorda Trifuoggi, anche Angelini subì una riduzione: «Ma fu una cosa simbolica, perché comunque gli si consegnavano più soldi di quando meritasse. I vantaggi illeciti per Angelini sono continuati. Diciamo che se prima guadagnava 100 per 10 drg (i raggruppamenti omogenei di diagnosi, il sistema che classifica i pazienti dimessi da un ospedale, che per l’accusa Angelini avrebbe trovato il sistema di moltiplicare, ndr), dopo ne ha avuti 80 per 8 drg, ma sempre 7 di troppo, e la Regione lo sapeva».
Per la procura, il meccanismo di favore, oliato dalle presunte tangenti, sarebbe passato dalla giunta di centrodestra guidata da Giovanni Pace a quella di centrosinistra di Del Turco senza soluzione di continuità, e con un anello di congiunzione: l’ex presidente Fira Giancarlo Masciarelli. Da qui l’accusa di aver creato due «associazioni per delinquere», riconducibili ai due schieramenti politici, per favorire le cliniche private.

L’ARRESTO MANCATO
Ma perché di Angelini, che con Del Turco e gli uomini della sua giunta è indagato con accuse gravissime, la procura, nel giugno 2008, non chiese l’arresto?
«Perché ritenemmo che non ci fosse possibilità concreta di inquinamento delle prove e che fosse sufficiente per limitare i danni chiedere l’obbligo di dimora: il gip ha ritenuto che neppure questo servisse, e non ce l’ha concesso». «Alla luce della maturata ed effettiva collaborazione assicurata nel corso delle indagini e anche in considerazione del ruolo di vittima nei plurimi episodi di concussione, non è da ravvisare allo stato alcun tipo di esigenza cautelare» scrisse il gip Di Fine nell’ordinanza di custodia cautelare con cui disponeva l’arresto di dieci indagati.
Fu così che quel 14 luglio di due anni fa il titolare di Villa Pini restò libero.

«Tutti i fatti sono stati fino a oggi esaminati dal gip e da vari giudici del riesame, che hanno ritenuto valide le nostre tesi» dice Trifuoggi, «la ragione per cui proprio ora si stia scatenando tutto questo mi sfugge». Davanti alla richiesta del Psi, che attraverso Marco Di Lello ha chiesto al ministro della Giustizia Angelino Alfano di inviare gli ispettori alla procura di Pescara, Trifuoggi replica laconico: «Faccia come crede: del resto abbiamo subito una ispezione di routine pochi anni fa, che ha concluso che l’organizzazione della procura è esemplare».

IL TESORO SPARITO E i soldi, il tesoro delle presunte tangenti svanito forse in qualche paradiso fiscale, secondo il procuratore non sono affatto la prova principe: «Bisogna provare che ci sia stata la dazione o la promessa del denaro: dove poi quel denaro sia andato a finire non riguarda il processo penale». Del Turco, invece, secondo la procura, non avrebbe mai chiarito come vennero acquistati dalla sua convivente alcuni appartamenti. Comunque, ricorda, «buona parte di quei soldi è stata trovata», e questo confermerebbe l’attendibilità del teste Angelini. Del resto, secondo il procuratore, poco emerge anche dal rapporto della Banca d’Italia su presunti movimenti sospetti di denaro da parte di Angelini: «Erano cose che già sapevamo, avevamo gli estratti conto». Così come a nessun risultato interessante hanno portato gli accertamenti estero su estero fatti sempre attraverso Bankitalia sugli indagati eccellenti: se i soldi sono finiti in conti cifrati, impossibile rintracciarli.