Ultrà ucciso, 2 pistole sul luogo dell'agguato

Era impugnata da uno dei quattro complici di Ciarelli arrestati
PESCARA. Non una, ma due pistole sarebbero state portate dal commando rom nel sanguinoso agguato di via Polacchi. Oltre a quella utilizzata da Massimo Ciarelli per uccidere Rigante, ce ne sarebbe un'altra impugnata dal cugino Luigi.
È una ricostruzione dettagliata e precisa quella che mercoledì notte ha indotto gli investigatori della Mobile a portare in carcere, in stato di fermo, i quattro presunti complici di Massimo Ciarelli con le accuse di concorso in omicidio, in tentato omicidio, porto abusivo di armi, violazione di domicilio e minaccia aggravata. Difesi dall'avvocato Luca Sarodi, i tre fratelli Angelo, Antonio e Domenico, cugini di Massimo, e il nipote di quest'ultimo Domenico compariranno questa mattina davanti al gip Maria Michela Di Fine per l'interrogatorio di convalida. Ognuno di loro dovrà spiegare e giustificare quello di cui li accusano, con tanto di riconoscimento fotografico, i testimoni di quella serata infernale in cui ha perso la vita il loro amico Domenico, di 24 anni.
Ed eccoli i co-protagonisti di quell'agguato sanguinario organizzato, secondo l'accusa, per lavare l'onta subìta da Massimo Ciarelli la sera prima, quando in via delle Caserme era stato pesantemente malmenato dal gruppo di Antonio Rigante. Un'umiliazione che, quello stesso 30 aprile, lo avrebbe portato a dire a Rigante: «Io ti sparo in testa».
IL BLITZ. Di fatto, intorno alle 21,45 del giorno dopo, Ciarelli è sulle tracce dei «gemelloni» Antonio e Domenico. In piazza dei Grue ci arriva a bordo della Fiat Cinquecento Abarth (lato passeggero) guidata dal cugino Angelo e accompagnato, nella stessa auto, dall'altro cugino Antonio (proprietario dell'auto) e da una o forse da due altre persone (ma non è ancora chiaro).
Del commando fanno parte, secondo l'accusa, anche Luigi Ciarelli, fratello dei gemelli Angelo e Antonio, e Domenico Ciarelli, nipote dello stesso Massimo. Questi due, Domenico e Luigi, arrivano all'appuntamento in sella a uno scooterone scuro, presumibilmente un Exagon della Piaggio.
«Eccolo, eccolo», grida il commando quando individua Antonio e l'amico che vedono le pistole e iniziano a scappare. Secondo quanto riferiscono i testimoni, mentre Antonio Rigante corre per rifugiarsi nell'appartamento al piano terra di via Polacchi, dove ci sono il gemello e altri quattro amici, e l'altro amico scappa verso via Benedetto Croce, Massimo Ciarelli esplode due colpi di pistola. E poi con i quattro, più un quinto attualmente solo indagato (ma su cui sono in corso ancora accertamenti), piombano nell'appartamento al piano terra.
LE ARMI. Secondo il racconto dei testimoni, oltre a Massimo Ciarelli, che è poi colui che avrebbe sparato e ucciso Domenico con una pistola a tamburo di circa 15 centimetri e un proiettile calibro 38 (come poi rivelato dall'autopsia su Domenico), entra armato anche Luigi il quale sarebbe colui che, sempre secondo il racconto di chi si trovava in quella casa, avrebbe colpito con il casco Domenico mentre questi era a terra, già ferito al fianco destro.
Sono momenti drammatici, di odio puro, in cui quello sparo arriva a coprire le urla e gli insulti con cui il gruppo si carica mentre fa l'irruzione, tra bottiglie che si rompono e mobili che volano, con spintoni, botte e pistole puntate contro chiunque finisca a tiro. Perché è «il gemellone» che cercano, mentre Antonio è corso a rifugiarsi sotto al letto e Domenico, il fratello, è nascosto con altre due persone in cucina. Ed è proprio lì, dove trovano la luce accesa, che il commando va a scovarlo fino a quando, tra botte e spari, l'opera non è compiuta.
LE MINACCE. Quando vanno via, spintonati fuori da chi, dentro quella casa, tenta di mettere fine a quell'inferno, è proprio Massimo Ciarelli che si avventa contro uno di loro e gli dice a brutto muso «Vi dovete fare i fatti vostri». La lezione è servita, mentre Domenico, con il volto tumefatto e il sangue che dal fianco sgorga lungo la gamba, si lamenta, dice di essere stato colpito a una gamba e fa il nome di Massimo Ciarelli che ripete poi a un poliziotto. Il primo a soccorrerlo è il fratello Antonio che con gli altri lo porta fuori mentre Domenico ripete «ho una figlia di 7 mesi».
L'ACCUSA. Una ricostruzione che, secondo l'accusa, attesta l'elevatissima pericolosità dei quattro presunti complici di Massimo Ciarelli i quali, insieme al capo spedizione, si sarebbero procurati mezzi e armi per l'agguato organizzato nei minimi dettagli con l'intenzione, per la procura, di uccidere.
È una ricostruzione dettagliata e precisa quella che mercoledì notte ha indotto gli investigatori della Mobile a portare in carcere, in stato di fermo, i quattro presunti complici di Massimo Ciarelli con le accuse di concorso in omicidio, in tentato omicidio, porto abusivo di armi, violazione di domicilio e minaccia aggravata. Difesi dall'avvocato Luca Sarodi, i tre fratelli Angelo, Antonio e Domenico, cugini di Massimo, e il nipote di quest'ultimo Domenico compariranno questa mattina davanti al gip Maria Michela Di Fine per l'interrogatorio di convalida. Ognuno di loro dovrà spiegare e giustificare quello di cui li accusano, con tanto di riconoscimento fotografico, i testimoni di quella serata infernale in cui ha perso la vita il loro amico Domenico, di 24 anni.
Ed eccoli i co-protagonisti di quell'agguato sanguinario organizzato, secondo l'accusa, per lavare l'onta subìta da Massimo Ciarelli la sera prima, quando in via delle Caserme era stato pesantemente malmenato dal gruppo di Antonio Rigante. Un'umiliazione che, quello stesso 30 aprile, lo avrebbe portato a dire a Rigante: «Io ti sparo in testa».
IL BLITZ. Di fatto, intorno alle 21,45 del giorno dopo, Ciarelli è sulle tracce dei «gemelloni» Antonio e Domenico. In piazza dei Grue ci arriva a bordo della Fiat Cinquecento Abarth (lato passeggero) guidata dal cugino Angelo e accompagnato, nella stessa auto, dall'altro cugino Antonio (proprietario dell'auto) e da una o forse da due altre persone (ma non è ancora chiaro).
Del commando fanno parte, secondo l'accusa, anche Luigi Ciarelli, fratello dei gemelli Angelo e Antonio, e Domenico Ciarelli, nipote dello stesso Massimo. Questi due, Domenico e Luigi, arrivano all'appuntamento in sella a uno scooterone scuro, presumibilmente un Exagon della Piaggio.
«Eccolo, eccolo», grida il commando quando individua Antonio e l'amico che vedono le pistole e iniziano a scappare. Secondo quanto riferiscono i testimoni, mentre Antonio Rigante corre per rifugiarsi nell'appartamento al piano terra di via Polacchi, dove ci sono il gemello e altri quattro amici, e l'altro amico scappa verso via Benedetto Croce, Massimo Ciarelli esplode due colpi di pistola. E poi con i quattro, più un quinto attualmente solo indagato (ma su cui sono in corso ancora accertamenti), piombano nell'appartamento al piano terra.
LE ARMI. Secondo il racconto dei testimoni, oltre a Massimo Ciarelli, che è poi colui che avrebbe sparato e ucciso Domenico con una pistola a tamburo di circa 15 centimetri e un proiettile calibro 38 (come poi rivelato dall'autopsia su Domenico), entra armato anche Luigi il quale sarebbe colui che, sempre secondo il racconto di chi si trovava in quella casa, avrebbe colpito con il casco Domenico mentre questi era a terra, già ferito al fianco destro.
Sono momenti drammatici, di odio puro, in cui quello sparo arriva a coprire le urla e gli insulti con cui il gruppo si carica mentre fa l'irruzione, tra bottiglie che si rompono e mobili che volano, con spintoni, botte e pistole puntate contro chiunque finisca a tiro. Perché è «il gemellone» che cercano, mentre Antonio è corso a rifugiarsi sotto al letto e Domenico, il fratello, è nascosto con altre due persone in cucina. Ed è proprio lì, dove trovano la luce accesa, che il commando va a scovarlo fino a quando, tra botte e spari, l'opera non è compiuta.
LE MINACCE. Quando vanno via, spintonati fuori da chi, dentro quella casa, tenta di mettere fine a quell'inferno, è proprio Massimo Ciarelli che si avventa contro uno di loro e gli dice a brutto muso «Vi dovete fare i fatti vostri». La lezione è servita, mentre Domenico, con il volto tumefatto e il sangue che dal fianco sgorga lungo la gamba, si lamenta, dice di essere stato colpito a una gamba e fa il nome di Massimo Ciarelli che ripete poi a un poliziotto. Il primo a soccorrerlo è il fratello Antonio che con gli altri lo porta fuori mentre Domenico ripete «ho una figlia di 7 mesi».
L'ACCUSA. Una ricostruzione che, secondo l'accusa, attesta l'elevatissima pericolosità dei quattro presunti complici di Massimo Ciarelli i quali, insieme al capo spedizione, si sarebbero procurati mezzi e armi per l'agguato organizzato nei minimi dettagli con l'intenzione, per la procura, di uccidere.
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