Un montesilvanese aiutò il re a fuggire da Ortona

Ecco la storia del maresciallo Agostinone: fucilato nel 1943 dopo l’incontro con Vittorio Emanuele. Il racconto della figlia Anna Elda: noi, in fuga per non morire

MONTESILVANO. Aiutò il re Vittorio Emanuele III a fuggire dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e, forse per questa ragione, fu ucciso 3 mesi dopo dalle pallottole tedesche. Si tratta del montesilvanese Vincenzo Agostinone che fu maresciallo maggiore dei carabinieri a Ortona nei duri anni della Seconda guerra mondiale e che, suo malgrado, non vide mai la fine del conflitto poiché morì nel Natale del 1943.

Nato a Montesilvano il 20 gennaio del 1900 da una famiglia di contadini della Colonnetta, ultimo di 7 figli, Vincenzo Agostinone scelse la carriera militare e intraprese gli studi da maresciallo. Dopo aver trascorso diversi anni di servizio in varie località italiane e un periodo in Somalia, dove contrasse anche la malaria, nel 1940 il maresciallo venne inviato, con sua immensa soddisfazione, nella città di Ortona, dove si trasferì con la moglie Iolanda Serafini e le due figlie, Anna Elda e Mafalda. Uomo di grande rigore morale, monarchico e antifascista, ottimo padre di famiglia, amato e rispettato da colleghi e cittadini, Agostinone trascorse il periodo della guerra nella città abruzzese fino a quel famoso 8 settembre 1943 che cambiò per sempre la sua vita, quella della sua famiglia e, più in generale, quella di tutti gli italiani. A distanza di 70 anni da quella data a ricostruire nel dettaglio quei tragici eventi e a ricordare la figura del valoroso montesilvanese è la figlia del maresciallo, Anna Elda Agostinone che all’epoca dei fatti aveva appena 10 anni ma che ricorda tutto con estrema lucidità: «Era il 9 settembre quando mio padre fu fatto chiamare dalla contessa di Bovino che chiedeva di incontrarlo», racconta la donna. «Poiché la nobildonna viveva nel castello di Crecchio, mio padre mi propose di accompagnarlo per consentirmi di visitare quella reggia. Così andammo insieme, accompagnati da un autista, nel piccolo paese abruzzese, ma una volta fuori dal castello ci rendemmo conto che il piazzale era pieno di automobili “blu” e sulla balconata si scorgevano persone in divisa e gente in abili civili ma molto eleganti». Resosi conto della situazione il maresciallo invitò la bambina a rimanere in macchina con l’autista e rimase per diverso tempo nella residenza. «Mio padre era una persona che aveva un grande rispetto per il suo mestiere», prosegue l’ex insegnante, «per cui una volta tornato in macchina mantenne il massimo riserbo e non mi disse mai che all’interno del castello aveva incontrato il re Vittorio Emanuele III, suo figlio Umberto, e tutta la famiglia reale che, all’indomani dell’armistizio, era in fuga verso Brindisi». La stessa sera il maresciallo Agostinone si recò al porto di Ortona dove organizzò la partenza del sovrano a bordo della nota corvetta Baionetta. «Purtroppo da quel momento in giro per Ortona iniziò a diffondersi la notizia che i tedeschi erano alla ricerca di mio padre e che gliel’avrebbero fatta pagare», ricorda Elda Agostinone. «Ci trasferimmo a Fonte Grande di Ortona ma avevamo sempre la valigia pronta e anche se mio padre voleva che tornassimo a Pescara, mia madre decise di voler rimanere al suo fianco e lo fece davvero fino alla fine», prosegue con commozione. Arrivò, dunque, il giorno in cui i tedeschi bussarono alla porta e la famiglia fu costretta a scappare nella speranza di arrivare a Pescara. Ma le gallerie erano state distrutte e le strade erano costellate di mine per cui Agostinone e le altre famiglie, in fuga al freddo e senza cibo, decisero di rifugiarsi all’interno di alcuni magazzini vicini alla funicolare di Ortona e all’abitazione dell’allora direttore delle poste, caro amico del maresciallo. «Eravamo in tanti, tutti ammassati, e l’insofferenza di coloro che erano arrivati prima era tangibile», ricorda ancora la donna, «per cui mio padre, dopo aver procurato del cibo, che divise con gli altri, decise di uscire con altri tre uomini alla ricerca di un rifugio. Era il pomeriggio del 21 dicembre, si udirono dei colpi di pistola, poi delle urla e qualcuno disse che mio padre era stato colpito». Le bambine furono portate a casa del direttore delle poste mentre la moglie del maresciallo rimase al capezzale del marito fino al 25 dicembre, quando Agostinone morì dissanguato a causa delle gravi ferite riportate alle gambe dalle pallottole tedesche. Le tre donne, grazie alla benevolenza di quanti conobbero il maresciallo, rimasero tra Ortona e San Vito fino al giugno del 1944 quando tornarono a Montesilvano e vennero accolte da una grande festa organizzata alla Colonnetta. Nessuno seppe mai se Agostinone, che quel giorno vestiva abiti civili, se sia stato riconosciuto dai tedeschi e punito per aver aiutato il re o se venne colpito per caso durante la ricerca di un rifugio per la sua famiglia.

Antonella Luccitti

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