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Valanga sull'hotel Rigopiano, la procura indaga per disastro e omicidio colposo plurimo

Nel mirino le negligenze nei soccorsi: già da martedì era stato chiesto di liberare la strada. Poi la telefonata di allarme arrivata da Silvi alle 17,40: perchè i soccorsi sono partiti un'ora dopo?

FARINDOLA. Se ne volevano andare. Dopo la terza scossa di terremoto di mercoledì, gli ospiti e i dipendenti del resort Gran Sasso, 36 persone in tutto tra cui tre bambini, non si sentivano più sicuri nell’hotel circondato da tre metri di neve. E da quanto emerge dalle testimonianze dei parenti e degli amici che martedì sono stati contattati dall’interno della struttura, tutti insieme su consiglio dello stesso gestore Roberto Del Rosso, avevano preso la decisione di lasciare l’albergo. Ma come? È questo il punto.

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«L’ultima volta ho sentito mia figlia verso le quattro», ha raccontato ieri Nicola Colangeli, il papà della responsabile della spa Marinella, «un solo messaggio, perché i telefoni non funzionavano. Dalla mattina avevano chiesto di essere sbloccati dalla turbina, ma gli hanno risposto che c’erano altre priorità e hanno abbandonato a pulire su». Ma aggiunge pure che la figlia non era preoccupata, «perché lassù è tranquillo. Era una posizione in cui non si poteva pensare che una valanga potesse colpire l’albergo. Avevano chiesto di essere liberati dopo il terremoto, perché lassù è stato forte e giustamente hanno chiesto aiuto, hanno chiesto di scendere. Ma c’erano tre metri di neve, come scendevano?».

«Voglio tornare a casa», scrive una dipendente a un amico inviandogli la foto dell’albergo isolato. E poi, un’ora dopo, quell’enorme lingua di neve che investe e travolge tutto. Una condanna a morte frutto probabilmente di una non adeguata gestione dell’emergenza che tra maltempo e terremoto mercoledì mattina non ha consentito a chi di dovere di pensare anche alle 36 persone praticamente isolate in quell’albergo a 4 stelle. Anche se dal giorno prima dall’albergo avevano richiesto i mezzi per liberare la strada. «Siamo in emergenza, non possiamo venire» sarebbe stata la risposta confermata ieri mattina dal presidente della Provincia Antonio Di Marco: «Le nevicate di ieri e l’altro ieri (martedì e mercoledì ndr) in tutta la provincia non ci hanno messo in condizione di intervenire tempestivamente ovunque, non è stata una situazione facile. Ma fino ai giorni precedenti le strade erano pulite».

È anche per verificare e accertare i motivi per cui questi soccorsi non sono arrivati, che la Procura di Pescara ha aperto un fascicolo per disastro colposo e omicidio plurimo colposo, pronta a ricostruire, anche attraverso le autopsie, le cause della morte, il luogo e gli ultimi momenti di ognuna delle vittime, anche attraverso la verifica dei telefonini e dei loro ultimi messaggi. Un lavoro molto impegnativo per gli investigatori coordinati dal procuratore aggiunto Cristina Tedeschini e dal pm Andrea Papalia che già da ieri mattina si sono riuniti con gli altri magistrati della procura. «Il nostro ufficio mette a disposizione tutta la professionalità, tutto il tempo e tutta l’attenzione nella ricostruzione precisa dei fatti che hanno portato a questo evento terribile», assicura Tedeschini, «avendo peraltro registrato l’assoluta disponibilità di tutti i magistrati di questa procura che sin da questa mattina (ieri ndr) si sono presentati tutti dal primo all’ultimo».

Ma il lavoro della Procura e degli investigatori dovrà far luce anche sui tempi con cui si è messa in moto la macchina dei soccorsi e soprattutto sulla sua prima gestione, nel corso della notte. Perché quando arriva la telefonata da Silvi che alle 17,40 segnala al 118, ma poi anche a prefettura, carabinieri, polizia e a tutti i numeri dell’emergenza che vengono in mente al datore di lavoro dello chef superstite, gli operatori ci mettono venti minuti a fare tutte le verifiche. E con il coordinatore delle emergenze Emanuele Cherubini sono pronti per partire. E invece non partono. Va avvisato il Coc, alla prefettura di Pescara, e alla fine passa almeno un’ora prima che ognuno per conto proprio, si comincino a muovere ambulanze, vigili del fuoco e carabinieri. Si procede sempre più a rilento lungo la strada verso Farindola fino a quando, a una decina di chilometri dall’albergo di Rigopiano la colonna dei mezzi rallenta dietro la turbina che deve liberare la strada. Si procede a passo d’uomo. Vigili del fuoco, ambulanze, carabinieri, i primi familiari: ma a otto chilometri dal dramma la colonna è costretta a fermarsi.

La turbina procede lentissima, 700 metri ogni ora, ma succede anche che per un’ora, data l’ampia mole di rami e detriti che si aggiungono alla neve, deve restare ferma, cedendo il passo ai vigili del fuoco che tagliano e liberano. Arrivano gli sciatori volontari della protezione civile, 4-5 eroi solitari che da soli si avviano verso l’hotel, superano la turbina, un paio di slavine e finalmente intorno alle 8 recuperano in condizioni di assideramento le due persone rimaste fuori dall’hotel. Ma prima che la turbina riesca a sgomberare la strada, la stessa che i 36 dell’albergo chiedevano di percorrere al contrario sono quasi le dieci. E sono passate più di 15 ore dall’allarme.

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