Virginia Spinelli, festa per la laurea: «Sono rom, studiare mi ha reso libera»

Pescara, il riscatto di Rancitelli. «Battaglia vinta, nel mio mondo potevo essere solo madre o moglie», e dedica la tesi alle donne che non hanno avuto la stessa possibilità
PESCARA. La laurea in Lettere Moderne, all’università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti è un traguardo che segna la sua libertà, conquistata passo dopo passo con sacrificio, sconfiggendo i pregiudizi. A indossare la corona di alloro è Virginia Spinelli, 30enne pescarese di etnia rom.
Ieri, alle 12.30, la discussione della tesi dedicata alla madre Maria e a tutte le donne che non hanno avuto la possibilità di studiare, dal titolo: “Essere bambino di periferia, il ruolo della lettura nella povertà educativa”. Un lavoro che parla di dispersione scolastica e quindi anche del suo quartiere, Rancitelli, perché “Periferia è casa mia”, come recita il titolo di un suo racconto. «Studiare mi ha reso libera», dice Virginia. «Ho concluso la mia tesi con queste parole».
Occhi profondi pieni di gioia e un sorriso che accoglie un futuro tutto da costruire. «Tanta emozione per una battaglia vinta, nonostante le difficoltà», dice. «E vi assicuro che per una ragazza come me, cresciuta in un mondo in cui le donne devono essere mogli e madri, ma non studiose né lavoratrici, tutto questo non è affatto scontato. Oggi (ieri ndr) ho festeggiato, ma da domani sono di nuovo operativa. Seguirò contemporaneamente due corsi di laurea specialistica: Scienze pedagogiche a Chieti e Coordinamento dei servizi educativi per la prima infanzia e per il disagio sociale, alla Federico II di Napoli».
Il suo desiderio è quello di trasferirsi nella città partenopea, senza però abbandonare la sua terrà e i luoghi in cui ha imparato ad affrontare gli ostacoli, senza mai girarsi dall’altra parte. «Tra le strade e i palazzi gialli di periferia ho imparato a giocare, ma anche a guardare oltre l’immagine di finestre e porte che celano realtà complesse», confessa Virginia. «La mia tesi pone a confronto due periferie diverse, ma complementari: Rancitelli e le vele di Scampia, dove comunque qualcosa si muove. Si pensi all’idea di Piero Rovigatti, docente universitario, che ha creato spazi ludici per i bambini di periferia, o alla professoressa Moria Sannipoli, che si rifà all’autosufficienza, quindi al concetto secondo cui ognuno di noi deve essere attore e spettatore di se stesso. Ed io vorrei fare proprio questo per il mio quartiere. Penso di avere una vocazione pedagogica. La mia idea è quella di portare esempi positivi a Rancitelli, per offrire alternative possibili ai bambini e alle donne del quartiere, in particolare. Al momento, però, devo studiare e approfondire, occupandomi dei contesti marginali. Solo così sarò pronta a proporre un vero progetto di rinascita. Dentro di me so cosa vorrei fare, ma per metterlo in pratica ho bisogno di tempo».
E così dicendo, Virginia ripercorre alcune tappe, perché anche lei, a 19 anni, abbandonò la scuola per poi riprendere il percorso di studi a 24 anni.
«Ero ancora al terzo anno, quando ho lasciato l’Istituto d’arte. In quegli anni non andavo bene a scuola, ma poi con il tempo mi sono resa conto che la formazione scolastica, i libri, lo studio, sono armi indispensabili per afferrare la propria vita tra le mani».
Nel 2019 Virginia decise di iscriversi al corso serale dell’istituto Manthoné. «Era novembre, ero tesa e senza mezzi. Andai a piedi. Se ripenso a cosa provavo, mi viene da piangere. Mi sentivo spaesata, avevo paura, ma gradualmente qualcosa dentro di me è cambiato e da quel momento non mi sono più fermata. Ringrazio la professoressa Mariadaniela Sfarra per aver creduto in me fin dall’inizio. Mi fece scrivere il racconto: “Perché sei qui”. Ho scritto le mie motivazioni. Lo conservo ancora. Poi è arrivato il Covid. Le difficoltà non mi hanno impedito di andare avanti: a luglio 2022 mi sono diplomata a adesso eccomi qui».
Nel frattempo Virginia Spinelli ha scritto anche due libri: “Ali sporche” e “Con cura”. Il terzo, per adesso, è nel pc. «Quando ho cominciato a scrivere i miei racconti vivevo una sorta di inquietudine profonda. Cercavo lavoro, ma il mio cognome ha chiuso tante porte. La fame di riscatto, la voglia di rinascere, sono stati il motore di ogni mio gesto», continua.
E su un possibile trasferimento altrove, dice: «Ho intenzione di vivere per un po’ a Napoli. Non abbandonerò mai Pescara, perché questa è casa mia. Tornerò, però, con degli strumenti diversi. Napoli è una città che può offrirmi delle possibilità, soprattutto in contesti marginali. Qui a Pescara ci sono ancora troppi pregiudizi nei confronti della mia etnia e per adesso non avrei possibilità. Voglio creare qualcosa di mio ed essere pronta a restituire qualcosa di buono alla mia città. Mi piacerebbe far rinascere il mio quartiere. In particolare voglio aiutare le ragazze, soprattutto quelle che non hanno avuto le possibilità di studiare. Purtroppo ce ne sono tante. Ecco perché scardinare una cultura come la mia è stato veramente difficile, ma era il mio destino farlo».
Virginia prova a immaginare un quartiere ai margini, ma diverso, meno abbandonato.
Alla domanda su cosa manca a Rancitelli, risponde così: «Mancano dei piani educativi, delle attività. Un buon esempio arriva da don Massimiliano De Luca, per tutti Don Max. Lui è un guardiano della periferia. Sa cos’è la sofferenza e sa cosa come combatterla, ma è solo. C’è chi nel quartiere lo guarda con diffidenza. Spero un giorno di poter essere la sua spalla, per creare una scuola dei mestieri, un luogo di accoglienza».
E sulle azioni intraprese dall’amministrazione comunale nel quartiere, dice Virginia: «L’abbattimento del Ferro di cavallo è un’illusione. È stata distrutta una comunità intera. Il sindaco Carlo Masci, con il quale vorrei confrontarmi presto, non ha ricostruito. Ha distrutto delle mura per mettere in piedi il caos. C’è dispersione. Non è una critica, ma una constatazione».
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