Gianni Melilla discute con Bersani alla Camera durante l'esame delle norme in materia di abolizione dei vitalizia (foto Ansa / Giuseppe Lami)

L'editoriale

VITALIZI TRA PRIVILEGI E RICATTI

Le aule parlamentari ospitano sovente momenti di alto dibattito. Quelli di ieri non resteranno certo negli annali come i più esaltanti della storia repubblicana

Le aule parlamentari ospitano sovente momenti di alto dibattito. Quelli di ieri non resteranno certo negli annali come i più esaltanti della storia repubblicana. Si discuteva del triste tema dei vitalizi, cioè delle pensioni dei parlamentari, sì, proprio di quegli assegni che Lorsignori si sono dati con criteri di sfacciato privilegio. Pensate, c’è stato e c’è ancora chi lo ha riscosso o lo riscuote senza avere mai messo piede alla Camera o al Senato o, se lo ha fatto, spesso solo per poche settimane. Una vera sfida al buonsenso e alla pazienza degli italiani. Ebbene, ieri si dibatteva - e il confronto proseguirà anche oggi - del possibile ricalcolo di questi assegni (antecedenti alla riforma del 2012) con il metodo contributivo, un passo che porterebbe a un notevole risparmio per le casse pubbliche allineando almeno un poco i trattamenti a quelli dei normali cittadini. Niente di rivoluzionario, anzi il minimo che si potrebbe fare.
E cosa si stanno inventando molti parlamentari, democratici, forzisti e di altre latitudini politiche? Che si tratterebbe di un provvedimento incostituzionale, giacché, pensate un po’, intaccherebbe dei diritti acquisiti aprendo addirittura la strada al possibile ricalcolo, naturalmente in peggio, delle pensioni di una ventina di milioni di italiani.
Diciamolo chiaramente: con queste argomentazioni siamo di fronte ad un vero ricatto sociale. Nel darsi quei vitalizi, senza una legge pubblicamente discussa e votata nelle aule parlamentari, ma attraverso delibere spesso segretate degli uffici di presidenza di Camera e Senato, i nostri eletti hanno semplicemente approfittato del proprio ruolo, inventando per se stessi e solo per se stessi, un trattamento di assoluto vantaggio sconosciuto al resto dei cittadini. Spesso rimpinguandolo addirittura mentre varavano tagli pesantissimi al sistema pensionistico riguardante tutti gli italiani. Nessun normale, accettabile diritto acquisito, dunque, quello dei parlamentari. Ma piuttosto un semplice approfittare del proprio ruolo per ricavarne un privilegio. Certo, i tempi erano diversi e il paragone può sembrare improprio, ma agli onorevoli che gridano all’incostituzionalità del ricalcolo vale la pena ricordare che all’indomani del Ventennio fascista venne varata un apposito organismo per colpire proprio gli arricchimenti di coloro che avevano utilizzato a proprio vantaggio i ruoli ricoperti nella gerarchia nera. Profittatori di regime, vennero giustamente chiamati costoro. Bene, non vorremmo che la definizioni cominciasse a correre anche per gli odierni alfieri della nostra democrazia rappresentativa, così attaccati ad una pensione spesso aggiuntiva e di cui molti tra loro potrebbero fare tranquillamente a meno. Uno scatto di dignità dunque ci vorrebbe. Per ridare smalto al proprio ruolo, per restituire prestigio alle istituzioni e fiducia a quei cittadini bistrattati che spesso lavorano decenni senza riuscire ad avercela una pensione decorosa. Una pensione spesso misera che molti onorevoli minacciano ora di volere ricalcolare in peggio solo per difendere un loro odioso privilegio.

Primo Di Nicola

@RIPRODUZIONE RISERVATA