VITO CRIMI E IL FASCISTA CHE E’ IN NOI

So che molti di voi, forse la maggior parte, non sarà d’accordo con quello che sto per scrivere, ma tant’è. In ognuno di noi esiste un fascistello. E’ quello che ci fa godere se siamo più belli e più forti di chi ci sta davanti, è lo stesso che ci fa mandare a vaffa chi invece ci minaccia o ci sta prendendo in giro o umiliando. E’ sempre lui quello che ci induce a sfoggiare i muscoli, a esercitarci contro quelli più deboli di noi – i vecchi, gli stupidi, i brutti, i poveri, i neri, le donne, i gay … - la lista è infinita. Ma il fascista più fascista di tutti è a mio parere quella pulsione interiore che ci fa infierire sui nemici vinti. Io sono esposta continuamente alla tentazione di tutti loro, non so voi.

Raggiungere una serenità di giudizio, un equanimità di parola è sempre stato per me un grande sforzo, lo ammetto. In compenso, Vito Crimi, senatore M5S è riuscito a dare voce in un solo post e in un solo pomeriggio a tutti i fascistelli che si annidano in noi. E’ riuscito a evocare la vecchiaia (che arriverà anche per lui) nella sua sordida corruzione della carne, è riuscito a rendere grottesca la figura degli anziani malati che per molti di noi sono semplicemente i nostri padri e le nostre madri, è riuscito a rendere un godimento l’età giovanile che è invece solo un divario temporale, non certo di destini.

Tutto questo confezionato in una sede istituzionale, dove lui rappresenta la Repubblica, e mentre era in corso il più drammatico voto degli ultimi venti anni contro un leader politico.

Non credo che il post con cui Crimi ha deciso di comunicare al mondo la sua partecipazione alla Storia abbia inficiato i lavori della Commissione. Non credo dunque che su quel post, come ha chiesto il senatore Schifani, fosse doveroso fermarne i lavori. Ma è importante che di quel post si parli perché ci può far riflettere – almeno, questo è quel che penso – su come uscire dalla Seconda Repubblica. Credo di non avere bisogno di patenti per dimostrare da che parte sono stata in questi venti anni passati, ma davanti alla conclusione giudiziaria e politica di questo periodo non mi metterò fra chi affonda la lama dell’insulto, della soddisfazione, e ancor meno della volgarità, contro Silvio Berlusconi.

Non trarrò piacere dalla condanna di nessuno, e non mi sento nemmeno soddisfatta del fatto che un leader politico che ho sempre considerato nemico della nostra democrazia – per i suoi conflitti di interesse e per il modo come ha trasformato la politica immettendovi il peso del denaro – sia oggi espulso dalla scena politica.

E non parlo da moderata. Anzi. Il moderatismo che viene riscoperto in questo momento in un paese che per venti anni è stato avvelenatissimo, è solo un pannicello caldo che si applica su una ferita sanguinante; è una sorta di invenzione “verbale” più che sostanziale, per cambiare il discorso pubblico nel tentativo di cambiarne il percorso.

La riscoperta oggi del moderatismo è il modo con cui ci si vuole illudere che tutto ora va bene. Non infierirò sul destino di Silvio Berlusconi invece proprio perché non sono per nulla ottimista.

Perché penso che un Paese i cui leader politici fanno questa fine (condannati per frode ed espulsi dai ranghi del Senato) non è un Paese che sta bene, comunque. Perché penso che il potere avuto da Silvio Berlusconi è un sintomo di qualcosa di sbagliato di cui tutti, cittadini e non solo politici, abbiamo una corresponsabilità – ed è guardare davvero dentro di noi e dentro questo periodo la via per uscire davvero da venti anni di Guerra civile fredda.

Ma soprattutto non infierirò su Silvio Berlusconi, perché non sono un maramaldo, non amo i bulli, non mi piacciono le feste sul corpo degli altri. Non sono un fascista, insomma.

Lucia Annunziata

(questo testo è pubblicato sul sito Huffingtonpost.it)

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